Collezione Pallavicini

2012

Collezione Archeologica Pallavicini

Trequanda (Siena)

allestimento, con Paolo Giacomazzi

committente: Comune di Trequanda

 

foto copertina, 2, 3,  courtesy Bruno Bruchi, 

foto 6, courtesy Anna Zemella

 

Le ragioni dell’allestimento

A Trequanda, come sempre, il progetto dell’allestimento è il progetto dell’esperienza che il visitatore farà degli oggetti esposti. Allargando lo sguardo, è il progetto delle relazioni che intercorreranno tra visitatore, oggetti esposti e luogo ospite. Allargando l’orizzonte temporale, il progetto si pone nella prospettiva anche di possibili usi differenti, in futuro, di quegli stessi oggetti e di quel luogo.

Il luogo ospite

Il luogo che ci viene dato per l’esposizione è una sala, sottotetto, di recente realizzazione, illuminata da due finestre a nastro, continue, sui due lati lunghi. Il pavimento è di cotto, rustico, tipo pizzeria. Sul soffitto, le capriate sono in abete bianco, non lamellare. Il riscaldamento è e ad aria calda, prodotta da fancoil accostati al muro, sotto le finestre. Gli impianti corrono nel battiscopa, lungo le pareti perimetrali.

Luce naturale

E’ necessario eliminare o filtrare -limitandola fortemente- la luce naturale, prima per ragioni di conservazione, poi per calibrare ed equilibrare i rapporti tra luci e penombre nello spazio espositivo. Da millenni le griglie in legno -i carabottini- regolano e disegnano la luce e la circolazione dell’aria nelle case e sulle navi del Mediterraneo, e gli Etruschi, nostri progenitori, erano un popolo del Mediterraneo.

Luce artificiale e impianti

Se vogliamo evitare molti problemi -riflessi, ombre proiettate, differenze termiche e di umidità relativa tra interno ed esterno delle future vetrine, durata e costi delle lampade, etc.-, dobbiamo eliminare i faretti a lampade dicroiche sospesi sotto le capriate che qui erano stati predisposti: le fonti di luce dovranno essere interne alle vetrine, e prive di infrarossi e ultravioletti.

Se vogliamo costruire liberamente i percorsi di visita, le vetrine non possono essere allineate lungo le pareti -sotto le finestre? controluce? con il rischio di infiltrazioni?-. Dovranno essere disposte al centro della sala, come e dove servono. Dunque, gli impianti dovranno correre a pavimento, sotto un nuovo piano di calpestio galleggiante.

Una collezione

Ciò che accomuna gli oggetti di una collezione non è una ricerca scientifica, sistematica. Non è neanche il ritrovamento nello stesso sito o l’appartenenza a una sola cultura. E’ il piacere del collezionista, la sua infatuazione: in molti casi è l’emozione per la loro bellezza, o l’interesse, che ognuno di essi ha potuto destare. L’allestimento deve suscitare nel visitatore la stessa emozione, lo stesso incanto, lo stesso stupore, e quindi, seducendolo, indurlo a scoprire le ragioni storiche o artistiche implicite in quella bellezza.

The less is more

Per sedurre e coinvolgere è necessario che ci siano soltanto il visitatore e gli oggetti esposti, a tu per tu. Tutto il resto è rumore, confusione, attrito.

A Trequanda abbiamo usato un unico materiale, molto povero: MDF ignifugo. Così il visitatore vedrà soltanto gli oggetti esposti, e la loro ricchezza.

Con MDF ignifugo, del suo colore tra cuoio e ruggine, sono stati realizzati sia le griglie perimetrali (per filtrare la luce e far girare l’aria), sia le contropareti cieche (per dissimulare armadi ed uscite), sia il pavimento galleggiante (per nascondere il cotto rustico, gli impianti e le strutture invisibili delle vetrine), sia, infine, i basamenti degli oggetti, all’interno delle vetrine.

La forma della separazione

Per la loro sicurezza reciproca, oggetti e visitatori devono essere separati. Le vetrine vengono fuori dal pavimento. Non hanno né basi apparenti, né cornici, né cerniere. E non sono acquari verdastri dove gli oggetti sono imprigionati come pesci rossi: i cristalli antisfondamento extrachiari quasi non li vedi (il ricordo delle capocciate durante i lavori è in tutti noi ancora ben vivo), li dimentichi e hai l’illusione di poter toccare tutto con le tue stesse mani, a pochi centimetri dal tuo naso.

Luci, ombre, riflessi

Un’unica fonte di luce artificiale: nastri di led, in profili disegnati all’uopo, montati all’interno delle vetrine, quasi in aderenza ai cristalli. Così la luce si riflette sui cristalli e resta quasi totalmente all’interno delle vetrine. Così le uniche cose veramente illuminate sono gli oggetti esposti. I visitatori restano in penombra. Come ombre immerse nell’ombra, quasi non si riflettono nei cristalli. Come spettatori invisibili, come voyeurs, possono lasciarsi sedurre dall’avvenenza e dal mistero di quegli oggetti.

Percorso e percorsi

La cura scientifica ha ordinato gli oggetti della collezione in successione cronologica e, lungo questa linea, li ha raccolti per temi -tra gli altri: la ritualità funeraria, il vino e il banchetto, l’olio e la cosmesi, etc.- e per aree geografiche d’origine -l’Italia centrale, l’Etruria, l’Italia meridionale e la Magna Grecia- ricostruendo il loro valore di testimonianze di culture e di popoli che non esistono più.

L’allestimento, attraverso la disposizione degli oggetti e delle vetrine nello spazio espositivo, ha dato luogo ad aree distinte per ognuno dei temi. E ha legato queste aree -e i gruppi di oggetti- anche secondo riferimenti visivi e secondo possibili percorsi differenti che incrociano il percorso principale cronologico. La dott.sa Goggioli -presenza fondamentale in tutte le fasi della realizzazione- osservò che in qualsiasi direzione si avvii, il visitatore potrà comunque riscontrare relazioni e coerenze logiche tra gli oggetti che incontra. [1]

Didascalie, spieghe e spiegoni

Una delle differenze più significative tra un libro (o un sito web) e una mostra sta nel fatto che in una mostra il visitatore entra con tutto il suo corpo: vede, cammina, ascolta, legge, pensa. Ed ha fisicamente davanti a sé oggetti veri e autentici, non riproduzioni o cose virtuali.

Allora, da lontano il visitatore vede l’oggetto -forma, materia, colore- senza quasi interferenze. Avvicinandosi, ne può osservare i dettagli, anche da angoli diversi. Un piccolo numero, serigrafato sul piano d’appoggio in prossimità dell’oggetto, rinvia  poi alla didascalia, anch’essa semplicemente stampata sul margine del piano.

Alzando lo sguardo, sulle contropareti perimetrali della sala il visitatore troverà anche i testi più lunghi, che spiegano il tema e gli oggetti di quell’area, le loro ragioni, le loro storie.

In futuro, l’adozione di tecnologie digitali e la creazione di un sito dedicato potrebbero fornire ulteriori possibilità di guida e di approfondimento, per implementare il già esauriente e chiaro apparato informativo approntato dalla cura scientifica.

Pensando al futuro

Tutti i musei e le gallerie sono inevitabilmente legati tra loro. Gli oggetti d’arte o i frammenti di storia che espongono sono inevitabilmente legati ad altri oggetti e ad altri frammenti esposti altrove. Sono -o dovrebbero essere- sempre meno i polverosi parcheggi di collezioni inamovibili, visitati una volta sola e mai più. Sono -o dovrebbero essere-, invece, sempre più dei nodi in una rete di scambi e di prestiti reciproci, per realizzare di volta in volta nuove mostre temporanee, per esporre nuovi racconti, perché i visitatori abbiano sempre nuove ragioni per tornare.

A maggior ragione, tutto questo vale per una piccola -seppur preziosa- realtà come la Collezione Pallavicini.

E’ per questo che qui è stata progettata una struttura espositiva permanente adatta a mostre temporanee. Gli oggetti attualmente esposti -tutti o in parte- possono facilmente essere tolti e riposti negli invisibili armadi già pronti. Dentro le vetrine, i basamenti degli oggetti sono facilmente sostituibili. Con oggetti in prestito, disposti sugli stessi o su nuovi basamenti, e con nuovi apparati informativi anch’essi rimovibili, volendo, con poco lavoro e con poca spesa si possono allestire sempre nuove mostre temporanee, alla fine delle quali, volendo, rimontare la collezione.

 

 

[1] sulle ragioni e sul senso acquisito da quanto esposto in una mostra giocano anche altri fattori, cfr. Separatezza e liminalità, in Il viaggio, e anche Il primo assioma, in Il potere della mostra