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La logica di una rappresentazione

Gli elementi della struttura espositiva

inglese

 The rationale of the representation

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Il problema, ma anche il fascino, della mostra consiste nel suo essere fenomeno complesso e relativo: costruzione di rapporti e di prospettive, di sfondi e di riscontri; costruzione non certo di impossibili traduzioni tra componenti diverse, quanto piuttosto di contestualità, vale a dire di linguaggi a confronto.

La mostra trascende gli oggetti mostrati ed esprime la sua ragion d’essere nel come e nel perché quegli oggetti sono mostrati.

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Gli operatori

Restando in uno schema logico, il “perché” della mostra, dal punto di vista operativo, è legato al “per chi”. L’organizzatore –chi fornisce i mezzi finanziari e gli apparati organizzativi e logistici- concepisce la produzione della mostra come l’oggetto di un investimento, da cui attende risultati esterni sotto forma di benefici diversi, e del quale è in ultima analisi il principale responsabile. Le finalità e i mezzi dell’organizzatore si presentano agli altri operatori come le condizioni, quindi i vincoli e le possibilità, con i quali progetto e realizzazione della mostra si devono confrontare.

Nel medesimo schema, il “cosa” e il “come” mostrare rimandano agli ambiti di lavoro autonomi, ma simultanei, del curatore e dell’allestitore, relatori rispettivamente della materia da mostrare e delle tecniche del mostrare.

Organizzatore, curatore e allestitore sono figure di uno schema logico. Anche nella pratica sono spesso distinti, ma possono variamente sovrapporsi nella stessa persona o moltiplicarsi, dando luogo a più articolati gruppi di lavoro.

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La logica della rappresentazione

L’oggetto del lavoro comune di curatore e allestitore è sviluppare il progetto della mostra muovendo da un tema che si è formato nell’universo della parola, o comunque in un sistema di rappresentazione diverso dalla mostra.

Le proprietà -ossia la struttura delle relazioni interne ed esterne- di una cosa o di un evento sono attributi che derivano da un determinato sistema di rappresentazione: è la rappresentazione che costruisce le connessioni al cui interno la cosa o l’evento acquistano significato. Di converso, la cosa o l’evento, come dati assoluti, sono sterili, non comunicano nulla. Per farli comunicare è necessario rompere la loro integrità e porre la loro esistenza -cioè rappresentarli- come funzione di altre cose o di altri eventi, anch’essi messi in crisi.

D’altra parte, i sistemi di rappresentazione non sono tra loro meccanicamente traducibili. Il linguaggio verbale è dotato di una sintassi, ad esempio, la quale non è meccanicamente traducibile in esperienza o in relazione di forme, fatti, oggetti. Viceversa, i linguaggi analogici sono composti proprio di forme, fatti, oggetti, vale a dire di immagini esplicative; sono coerenti all’esperienza sensibile, ma consentono connessioni fortemente sintetiche e ambigue: non possono affermare o denotare, ma solo proporre delle relazioni.

La mostra è rappresentazione di una cosa o di un evento; in essa il linguaggio verbale e il linguaggio analogico si confrontano e si misurano reciprocamente. All’interno della mostra i singoli pezzi sono ad un tempo e ambiguamente ‘documento’, cioè strumento di conoscenza, e ‘monumento’, cioè oggetto ricostruito dalla conoscenza, e perciò da questa dotato di valore. Nessun pezzo della mostra è puramente se stesso, bensì si autorappresenta come parte costitutiva dello stato di cose prodotto dalla mostra: alla pura percezione si sovrappone l’interpretazione, la guida alla lettura. I pezzi vanno assunti come materiali espositivi.

Il problema che si presenta al curatore e all’allestitore è la definizione della logica di questa rappresentazione: logica che dovrà operare in tutti i luoghi del progetto e della realizzazione. E’ con questa logica che curatore e allestitore tra i materiali disponibili introducono connessioni, differenze, confini e operano la selezione. Nella selezione il dato esplicito di questa logica è la ragione delle presenze, espressa dalla struttura dei criteri e degli strumenti di presentazione dei materiali; il dato implicito è la ragione delle assenze, di ciò che resta escluso dalla mostra.

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La struttura espositiva

Il problema è quindi esporre logicamente i materiali selezionati: si tratta di rappresentare le loro proprietà, di mettere “in mostra” connessioni, differenze, confini.

L’oggetto non è indifferente all’angolo visuale e alla distanza da cui ne è consentita la vista. Permettere il contatto fisico con l’oggetto oppure richiuderlo dietro un cristallo implica situazioni e giudizi diversi. La rappresentazione è inevitabilmente costruzione di limiti, riduzione orientata delle possibilità semantiche dell’oggetto in mostra. Mettere in luce alcune sue proprietà significa metterne in ombra altre: esporre ‘logicamente’ un oggetto significa proporre concettualmente e fisicamente una selezione dei punti di osservazione. La mostra consente l’esperienza diretta dei suoi materiali, ma sollecita determinate forme di attenzione, di apprendimento, di valutazione: non può comunque essere neutrale nei confronti dei materiali esposti.

L’autonomia formale dell’oggetto è determinata dalla logica del contesto. In uno spazio, comunque sia definito, mostrare uno o più oggetti implica costruire dei contesti, costituire un ‘insieme’ espositivo. La rappresentazione, cioè, viene prodotta dall’interazione simultanea e complessa di differenti sistemi significanti: il linguaggio dell’oggetto ovvero i linguaggi degli oggetti, la logica della loro disposizione in uno spazio, la struttura di questo spazio. Non solo: contestualmente a questi operano spesso anche altri sistemi, come il linguaggio della parola, nelle varie forme del testo scritto, e i linguaggi della grafica, del suono o altri ancora.

La configurazione orientata dei sistemi rende emergenti sia le relazioni tra gli oggetti, sia le relazioni tra le proprietà loro attribuite. In questa configurazione oggetti e proprietà si rafforzano reciprocamente, esaltando le ‘uguaglianze’, e si implicano reciprocamente, esibendo le ‘differenze’.

La mostra normalmente si articola in più spazi delimitati e in più unità espositive. Le sequenze, vale a dire i modi del passaggio tra le varie unità, sono le fasi del processo attraverso il quale curatore e allestitore sviluppano la rappresentazione; le strutture di questo processo sono l’ordine della successione e le relazioni rese emergenti.

Nella successione all’esperienza diretta degli oggetti e delle unità espositive si sostituiscono progressivamente immagini ricostruite dalla rappresentazione; la causalità è una delle ipotesi di lavoro che possono legare tra loro le sequenze. All’interno di ogni unità è invece la sincronicità che connette il dato ‘esteriore’ con il dato ‘interiore’, l’esperienza diretta dell’oggetto e del suo contesto con le immagini già formate.

Attraverso il processo, dunque, la mostra compone l’esperienza sensibile e la simultaneità con le costruzioni della memoria.

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Il tempo della mostra

Costruzione  provvisoria, realizzata per durare un tempo limitato, la mostra scandisce anche il tempo del suo percorso interno e ripresenta l’effimero nel passaggio tra un’unità espositiva e l’altra, nel confine che separa uno stato attuale da un altro.

In quanto rappresentazione, la mostra è una delle espressioni del pensiero creativo; il suo possibile senso è dunque nella ricerca di una trasformazione della conoscenza: producendo contesti, relazioni, prospettive nuove, propone nuove costellazioni di materiali, dà nuova forma al passato, può orientare il presente.

La struttura espositiva -in ogni sua parte e nell’insieme- va intesa come il veicolo di quella rappresentazione, il sistema che compone logicamente gli oggetti, le relazioni tra questi e le relazioni tra i loro attributi. Nel progetto e nella sua realizzazione, per un tempo anch’esso limitato, più tecniche e più forme di riflessione devono mettere in crisi la propria autonomia e porre a confronto le proprie differenti ragioni.

Anche i singoli prodotti di queste tecniche, per poter essere componenti della struttura espositiva, per poter comunicare, devono restare inconclusi, in sospeso al limite della forma.

Non è produttivo cercare un’unità disciplinare nel fare una mostra poiché questa trae la propria capacità comunicativa da quel provvisorio confronto di diverse riflessioni; è la logica della rappresentazione che fa da ponte, che impedisce loro di scindersi in frammenti sconnessi.

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La struttura espositiva nasce e muore con la mostra. Solo alcune componenti, a volte, le sopravvivono; decontestualizzate, esse non costituiscono una traccia della mostra, ma rappresentano soltanto se stesse: pure forme di una tecnica che si isola e che, isolandosi, ripropone la propria autonomia disciplinare.

Le stesse componenti, riutilizzate in mostre diverse -soprattutto se progettate a tal fine- di volta in volta possono nuovamente essere strumenti della logica di una rappresentazione. Nel corso del tempo e attraverso le rappresentazioni, si propongono, in più, come ‘funzioni determinate’. Confermando, infatti, alcune relazioni ricorrenti, il cui senso non è assoluto ma emerge dal contesto di ogni rappresentazione, si configurano come forme retoriche di un modo di esporre. Diventano, alla fine, il segno di una scelta operativa ed economica dell’organizzatore, vale a dire gli strumenti di una più generale logica del mostrare, espressione diretta di una politica culturale.

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Strumentario minimo

Il testo scritto (linguaggio verbale) nella logica della rappresentazione si propone come margine all’ambiguità delle immagini, mentre trae da esse la propria giustificazione. Articolato nelle sue varie forme, si costituisce come struttura dell’informazione che attraversa i luoghi e i tempi della mostra.

La didascalia senza l’oggetto è un’affermazione insensata, una forma incompleta; di converso, l’oggetto senza la didascalia spesso non ha la capacità di denotarsi, di definire la propria identità. E’ la loro mancanza di autonomia a connetterli, a creare la loro relatività reciproca e ad esigerela loro immediata contiguità.

I testi di “spiegazione” di ogni insieme espositivo -nel gergo degli operatori: spieghe o spiegoni– sono proposizioni il cui possibile senso si confronta con la configurazione degli oggetti esposti. Sono materiali visivi e, in quanto tali, richiamano all’attenzione gli specifici problemi della leggibilità. In generale si può osservare che la loro consistenza è inversamente proporzionale alla chiarezza della rappresentazione.

Il catalogo, ormai d’abitudine, non è più un oggetto della mostra: prodotto parallelamente ad essa e traendone il pretesto è ormai quasi sempre un libro e quindi comporta forme e tempi di attenzione -e a volte pesi e prezzi- con essa generalmente incompatibili.

A riempire il vuoto lasciato dal catalogo, e ricalcandone la forma originale, spesso interviene il depliant. Economico e maneggevole, è il “prêt-à-porter” della struttura informativa: raccoglie e integra didascalie e testi di spiegazione e a volte li distribuisce negli itinerari di una mappa. Passata la mostra, ne può essere un promemoria.

Il pannello, nella sua forma più elementare, è la dizione tecnicista del passe-partout. Fornisce ad un oggetto prevalentemente bidimensionale la stabilità della terza dimensione, ma richiama l’attenzione al trattamento e alla definizione di una superficie virtualmente infinita: perciò, preso autonomamente, tende a nascondere il designer e a esibire il grafico.

Il disegno della bacheca (o vetrina) è la forma di una separazione tra oggetto esposto e visitatore. Implicitamente giudica il loro contatto potenzialmente (e anche socialmente) pericoloso; esplicitamente misura e qualifica le loro posizioni reciproche.

Il basamento di un oggetto è un possibile paradigma dell’’architettura. Implica la soluzione costruttiva di un problema statico. La sua collocazione determina le relazioni reciproche tra la struttura dell’oggetto e la struttura dello spazio circostante. Nei confronti dell’osservatore, la conformazione del basamento e dello spazio stabilisce la quota dell’orizzonte e orienta il quadro visivo, selezionando le porzioni del percorso -spaziale e temporale- intorno e, nel caso, attraverso l’oggetto.

Il tempo delle emozioni più forti, per gli operatori, è il cantiere, quando i singoli contributi e l’apparato organizzativo vengono messi alla prova nel confronto con le decisioni “à bout de souffle” che l’imprevisto o l’imminenza dell’apertura rendono necessarie.

E’ il tempo nel cui corso il luogo che ospita la mostra viene travestito o interpretato, comunque ricostruito come materiale della rappresentazione.

Nel cantiere ciò che era distinto e distante viene collegato e le differenze tra i linguaggi vengono elaborate e rese reciprocamente incidenti. La mostra è solo una delle possibili rappresentazioni nelle quali è possibile connettere quegli oggetti e le loro relazioni. Durante il cantiere, invece, i linguaggi che escono dal loro isolamento, prima di ricomporsi in quella rappresentazione -in quella determinata pluralità di sensi-, nella successione sempre più satura dei contesti sperimentano una dopo l’altra nuove e inattese formazioni significanti.

 

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inglese

The rationale of the representation

The elements of the exhibition structure

Essays on the methodology of staging design in temporary exhibition

in “Rassegna” n°10/1982, monographic issue on the Exhibit Design, pp. 12-13

The problem, but also the charm of an exhibition lies in its being both a complex and relative phenomenon: it is a construction of correlations and perspectives, of backgrounds and feedbacks; a construction certainly not between diverse components, but rather more of contexts, that is of languages in comparison.

The exhibition transcends the exhibits, the objects displayed, and expresses their raison d’être in the how and wherefore just those objects are shown.

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The operators

Keeping in a logical framework, the “wherefore” of an exhibition, in practise, is linked to the “for whom”. The organizer -who provides the financial bacing and the organizational and logistic machinery- conceives the production of the exhibition as an investment, from which it expects external results in the form of various benefits, and for which it is ultimately the main responsible. The aims and organizers means are for the other operators the conditions, therefore the constraints and possibilities, with which the planning and realization of the exhibition will have to confront.

In the same framework, the “what” and the “how” to show refer to the autonomous but simultaneous areas of work of the curator and the staging designer, who respectively relate the material to be shown and the techniques of showing.

Organizer, curator and staging designer are figures in a logical framework. Also in practise they are often distinct, but they can overlap in the same person or multiply, giving rise to more articulate working teams.

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The rationale of the representation

The object of joint work of curator and staging designer, starting from a theme that has been formed in the universe of the word, or in any case in a system of representation different from the exhibition.

The properties -that is the structure of the internal and external relations- of a thing or an event are attributes that derive from a determinative system of representation:  Is is the representation that builds the connections on the inside of which the thing or the event acquire meaning.

On the other hand, the systems of representation ar not mechanically translatable to each other. Verbal language is endowed with a syntax, for example, which is not mechanically translatable into experience or into relation of forms, facts, objects. Conversely, the analogical languages are composed of forms, facts, objects, that is of explanatory images; they are coherent with sensitive experience, but allow strongly syntetic and ambiguous connections: they cannot affirm or denote, but only propose relationships.

The exhibition is a representation of a thing or an event; in it, the verbal language and the analogical language compare and measure each other. Inside the exhibition the individual pieces are at once and ambiguously ‘document’, that is an instrument of  knowledge, and ‘monument’, that is an object reconstructed by knowledge, and therefore by this endowed with value. No piece in the exhibition is purely itself, but rather self-represents as constitutive part of the state of things produced by the exhibition: interpretation, the guide to reading, overlaps pure perception. The pieces are to be taken as exhibion materials.

The problem of the curator and the staging designer is the definition of the logic of this representation: a logic that will have to operate in all the places of the project and of the realization.  It is with this logic that curator and staging designer introduce connections, differences, boundaries among the available materials and make the selection. In the selection the explicit datum of this logic is the reason of the presences, expressed by the structure of criteria and tools of presentation of the materials; the implicit datum is the reason for the absences, for what remains excluded from the exhibition.

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The exhibition structure

The problem is therefore to logically expose the selected materials: it is a question of representing their properties, of “show-off” connections, differences, boundaries.

The object is not indifferent to the visual angle and the distance from which it can be seen. Allowing physical contact with the object or enclosing it behind a crystal implies different situation and judgments. The representation is inevitably the construction of limits, oriented reduction of semantic possibilities of the object on display. Highlighting some of its properties means overshadowing others: ‘logically’ exhibiting an object means proposing conceptually and physically a selection of observation points. The exhibition allows the direct experience of its materials, but call for certain forms of attention, learning and evaluation: however, it cannot be neutral in its relations with the exposed materials.

The formal autonomy of the object is determined by the logic of the context. Exhibiting one or more objects in a space, however it is defined, implies constructing contexts, constituting an ‘exhibition whole’. The representation, that is, is produced by the simultaneous and complex interaction of different signifying systems: the language of the object or the languages of the objects, the logic of their displacement in a space, the structure of this space. Not only that: other systems also work in the context with these, such as the language of the word, in the various forms of written text, and the languages of graphics, of sound, or others still.

The oriented configuration of systems makes emergent both relationships between the objects and the relationships between the properties attributed to them. In this configuration objects and properties reinforce each other, exalting ‘similarities’, and imply each other, exhibiting the ‘differences’.

The exhibition is normally divided into several delimited spaces and several expositive units. The sequences, that is the modes of passage between the various units, are the phases of the process through which curator and staging designer develop the representation; the structures of this process are the order of succession and the relationships made emergent.

In the succession, to direct experience of objects and the expositive units, one progressively substitutes the images reconstructed by the representation; causality is one of the working hypotheses that ca link sequences together. On the inside of each unit it is the synchronicity the connects the ‘exterior’ datum with the ‘interior’ datum, the direct experience of the objects and its context with the already formed images.

Through the process, the exhibition composes the sensitive experience and simultaneity with the constructions of the memory.

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The time of the exhibition

Temporary construction, built to last a limited time, the exhibition also marks the time of its internal path and propose again the transience in the passage between one expositive unit and the other, in the border that separates one current state from another.

As a representation, the exhibition is one of expressions of creative thought; its possible meaning is therefore in the search for a transformation of knowledge: by producing new contexts, relationships, perspectives, it proposes new constellations of materials, gives new shape to the past, can orient the present.

The expositive structure -in each its parts and in the whole- must be understood as the vehicle of that representation, the system that logically composes the objects, the relationships between them, the relationships between their attributes. In the project and in its realization, for a limited time as well, several techniques and several forms of reflection must undermine one’s own autonomy and confront one’s own different reasons.

Even the individual products of these techniques, in order to be components of the expositive structure, to be able to communicate, have to remain inconclusive, suspended at the limits of form.

It is not productive to look for a disciplinary unity in setting up an exhibition because it draws its communicative capacity from the temporary comparison of different reflections; it is the logic of representation that acts as a bridge, wich prevents them from fracturing into disconnected fragments.

The expositive structure born and dies with the exhibition. Only a few components, sometimes, survive it; decontextualized, they do not constitute a trace of the exhibition, but only represent themselves:pure forms of a technique the isolates itself, and by isolating itself, re-proposes its own disciplinary autonomy.

The same components, reused in different exhibitions -especially if designed for this purpose- can again be instruments of the logic of a representation. Over time and through representations, they also put themselves as ‘determinate functions’. In fact, confirming some recurring relationships, whose meaning is not absolute but emerges from the context of each representation, they configure themselves as rhetorical forms of a mode of exhibiting. In the end, they become the sign of an operative and economic choice of the organizer, that is tosay the tools of more general logic of showing, direct expression of a cultural policy.

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Minimal tools

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The written text (verbal language) in the logic of representation proposes itself as a margin to the ambiguity of images, while drawning its justification from them. Articulated in its various forms, it is constituted as the structure of the information that crosses the places and times of the exhibition.

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The caption without the object is a nonsensical affirmation, an incomplete form; conversely, the object without the caption often does not have the ability to denote itself, to define its own identity. It is their lack of independence that connects them, creates their mutual relativity and demands their immediate contiguity.

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The ‘explanatory’ texts of each whole -in the jargon of Italian operators: spieghe or spiegoni– are propositions whose possible meaning is compared with the configuration of the exhibits. There are visual materials and, as such, call attention to the specific problems of legibility. In general it can be observed that there consistence is inversely proportional to the clarity of the representation.

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The catalogue, by now usually, is no longer a thing of the exhibition: produced in parallel with it and taking the pretext from it, it is now nearly always a book and therefore involves form and times of attention -and sometimes weights and prices- generally incompatible with it.

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Very often, to fill the void left by the catalogue, the brochure intervenes, retracing its original form. Economical and hady, it is the “prêt-à-porter” of the information structure: it collect and integrates captions and explanatory texts, and some times distributes them in the itineraries of a map. After the exhibition, it can be a reminder.

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The panel, in its most basic form, is the technical diction of the passe-partout. It provides a predominantly two-dimensional object with the stability of the third dimension, but call attention to the handling and definition of a virtually infinite surface: therefore, considered independently, it tends to conceal the designer and to see the graphic designer.

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The shape of the showcase is the form of a separation between the exhibited object and the visitor. It implicitly judges their contact potentially (and even socially) dangerous; it explicitly measures and qualifies their mutual positions.

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The base of an object is a possible paradigm of architecture. It implies the constructive solution to a static problem. Its location determines the reciprocal relationship between the structure of the object and the structure of the surrounding space. The con-formation of the base and the space establishes the level of the horizon and orients the visual framework of the observer, selecting the portions of the spatial and temporal path around and, sometimes, through the object.

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The time of the strongest emotions, for the operators, is the construction, when the individual contributions and the organizational apparatus put to the test in comparison with the decisions ‘à bout de soufle’ that the unexpected or the imminence of the opening make necessary.

It is the time during wich the site that hosts the exhibition is dressed up or interpreted, however reconstructed as material -as part- of the representation.

In the construction, what was distinct and distant is connected, and the differences between the languages are elaborated and made to affects each other. The exhibition is just one of the possible representations in wich it is possible to connect those objects and their relationships.

During the construction, conversely, the languages that came out of their isolation, before recomposing themselves in that representation -in that determined plurality of senses-, in the increasingly satured succession of contexts,  one after other experiment new and unexpected signifying formations.