Kandinskij by Ferretti – gli allestimenti di El Lissitzky
Da tutti gli allestimenti che abbiamo visto, dal riconoscimento del ruolo che soglie e traguardi hanno nella costruzione del percorso e dell’esperienza della mostra, dall’esame dei rapporti che cose o temi esposti intessono con il luogo in cui sono esposti, da tutto questo emerge una proprietà fondamentale.
Ogni oggetto esposto, ogni elemento dell’apparato espositivo, tutto ciò che è presente e che si vede nello spazio della mostra viene metabolizzato dal visitatore come parte integrante della mostra. Diventando parte integrante della mostra viene letto e percepito dai visitatori come qualcosa dotato di un senso, di una ragione, di un significato, di un valore.
Rovesciando la prospettiva, si può dire che il dispositivo mostra, la macchina significante, non può evitare di conferire un senso, una ragione, un significato e un valore ad ogni cosa presente. Come Duchamp dimostrò -ne abbiamo già parlato- con l’orinatoio-fontana[1].
Una conseguenza di questa proprietà, di questo potere, è che il vero problema di chi progetta una mostra e il suo allestimento non è quello di dotare di un senso quello che espone.
Il vero problema è fare in modo che il senso percepito dai visitatori sia quello che la mostra intende proporre.
Il vero problema è cancellare dalla vista tutto quello che non è necessario, tutto il rumore, la confusione, tutto ciò che interferisce nei rapporti tra il visitatore e le cose esposte ostacolando o travisando il senso che la mostra intende proporre.[2]
Questa proprietà impone all’allestimento una virtù altrettanto fondamentale: la coerenza.
L’allestimento deve ‘configurare’ quello che abbiamo chiamato il luogo della mostra: un luogo nel quale tutto ciò che è presente, tutto ciò che si vede, sia assolutamente coerente.
Abbiamo già visto allestimenti coerenti, primo fra tutti, straordinariamente, Castelvecchio. Ma dove il luogo ospite non si presta all’esigenze di una mostra o non può essere coinvolto nel suo allestimento, occorre percorrere altre strade.
Una strada relativamente semplice è costruire ex novo il luogo della mostra. Questa scelta comporta, quasi inevitabilmente, una necessità: ‘non far vedere’ il luogo ospite con un gioco di prestigio -intercettando lo sguardo del visitatore, come nel caso di Giacometti alla Biennale, di Moore a Castelgrande, e, come vedremo, negli allestimenti di El Lissitzkj-, oppure nasconderlo davvero e completamente.
Vediamo alcuni esempi.
Nel 1981, per la mostra Kandinskij, a Venezia, nell’Ala Napoleonica del Museo Correr, Daniela Ferretti realizza un geniale allestimento.
Ferretti nasconde completamente il salone. Al suo interno edifica un parallelepipedo. Tinge di bianco pareti, soffitto, pavimento. Ma il risultato non è una normale galleria d’arte contemporanea. Va ben oltre l’idea del white cube.
Correndo seriamente -e coraggiosamente- il rischio di infilarsi nella trappola di una ridicola parodia di Kandinskij, prende due frammenti del suo frasario, due figure geometriche elementari, e ne fa la matrice dell’allestimento.
Già sulla soglia d’ingresso Ferretti dichiara il programma (10.1). Un quadrato nudo ferma i passi del visitatore e, al di sopra, un triangolo di luce ritaglia il soffitto. Entrando, i chiaroscuri della luce riflessa e morbidamente diffusa -unica fonte, i triangoli- sfumano i confini del perimetro, smaterializzano il contenitore. Al centro, prismi a base triangolare scandiscono il vuoto.
Qualsiasi percorso va bene. Ovunque il visitatore si diriga, i prismi che sembrano ruotati a caso in realtà disegnano traguardi, selezionano gruppi di opere (10.2, 10.3), suggeriscono e inanellano una dopo l’altra le relazioni tra le opere…
L’essenzialità, il ricorso al solo disegno della luce, il rigore dell’astrazione sventano completamente il rischio della parodia. Il visitatore è immerso in questo spazio sospeso, e tra lui e le opere niente può turbare il rapporto che cura e allestimento hanno predisposto.
Non è un generico white cube, non è uno spazio pronto per qualsiasi esposizione. Dimensioni, proporzioni, geometria e luce ne fanno un luogo univoco, costruito su misura, per mostrare e ordinare proprio quelle opere di Kandinskij.
L’univocità appare evidente, ad esempio, confrontando questo allestimento con una sala del Chichu Art Museum di Tadao Ando, nell’isola di Naoshima: uno spazio di grande eleganza e perfezione formale, visibilmente pensato per ospitare, esporre e rendere quasi ‘sacra’ qualsiasi cosa (10.4, 10.5).
L’univocità appare tanto più chiaramente anche al confronto con l’allestimento della mostra Le Corbusier pittore e scultore, quando, qualche anno dopo, nel 1986, -in circostanze e con mezzi ben diversi da quelli che avrà Tadao Ando- era stato richiesto uno spazio adatto a successive e differenti mostre (10.6) .
E’ qui necessario riflettere sul fatto che le strutture espositive permanenti per mostre temporanee -di cui parleremo ancora- certamente possono costituire una scelta economica comprensibile al servizio di una politica culturale. Ma rappresentano soltanto sé stesse e/o una metodologia espositiva. Non potranno mai -se non casualmente- offrire un contributo specifico e originale alla conoscenza delle opere esposte.
Lavorare per sottrazione, la ricerca della reductio ad unum, non è l’unica strada possibile: la storia ci insegna che la coerenza -e perciò l’efficacia- dell’allestimento può essere ricercata anche in altri modi, anche completamente opposti.
Facciamo un passo indietro, alla prima metà del ‘900.
A Mosca e a Pietroburgo, negli anni che vanno dal tracollo epocale della Russia zarista all’alba ancora incerta dell’Unione Sovietica, si formarono movimenti che hanno segnato la cultura europea. E’ la stagione del cubo-futurismo (nato già dai contatti con i primi futuristi italiani e poi, nel 1912, a Parigi, con Picasso, Cocteau, Satie…), e poi del suprematismo e del costruttivismo. Intorno a quei movimenti, nel crogiuolo incandescente della rivoluzione, operarono artisti e intellettuali come Chagall, Malevič, Mayakovsky, Kandinsky, Mel’nikov, Meyerhold, Ejzenstejin, etc., e El Lissitzky.
El Lissitzky fu pittore, tipografo, grafico, architetto. Fu, tra l’altro, l’autore dei Wolkenbügel, i grattacieli orizzontali o ‘acchiappanuvole’. Nei suoi frequenti viaggi in Europa ebbe modo di conoscere, frequentare e lavorare con Arp, Moholy-Nagy, Van Doesburg, Schwitters, etc. Insegnò al Vchutemas -dal 1920 al 1927 analogo sovietico del Bauhaus- insieme a Rodčenko, Tatlin, Vesnin. Fu inviato come ambasciatore della cultura sovietica a Berlino, nel 1921…
El Lissitzky ci interessa, in queste note, poiché uno degli aspetti più rilevanti in tutta la sua opera è il sistematico scavalcamento dei confini tra le discipline, le arti e i mestieri e -non ultima- la militanza rivoluzionaria.
In una delle prime opere (10.7) che lo resero famoso, coniuga la ricerca suprematista con la propaganda politica: l’Armata Rossa -come un cuneo rosso- spezza l’infezione rotonda dei Bianchi controrivoluzionari.
Nella serie dei Proun, dal 1919 in poi, teorizza e mette in atto un superamento della distanza tra pittura e architettura sulla “via costruttivista alla nuova configurazione”.
Nella Proun Room (10.8), realizzata a Berlino nel 1923, come poi nella Camera Costruttivista a Dresda nel 1926 (10.9), non vi è più distinzione tra grafica, pittura, scultura, architettura.
Osserviamo bene. La Proun Room di Berlino sembra il primo white cube della storia? I galleristi di tutto il mondo hanno pensato che ci fossero ‘opere d’arte’ illuminate dall’alto e attaccate a pareti bianche?
Io non sono uno storico dell’arte, ma, a mio avviso, non è così.
Le Proun Room sono un unico ‘collage’ tridimensionale. Sono il corrispettivo costruttivista -e dunque purista, moralista, socialista- dei Merzbau di Kurt Schwitters. (10.10, 10.11)
Sono “camere”, cioè ‘luoghi’ progettati e costruiti integralmente poiché ogni loro componente, tutto ciò che si vede, non vive da sé, ma è parte costitutiva di un unicum. Un’unica ‘opera d’arte’, o una ’installazione, o un ‘allestimento’ che può avvolgere il visitatore, l’osservatore.
Ma qui non ha più senso distinguere tra arte e allestimento: per El Lissitzky questi termini appartengono alle tassonomie accademiche della cultura borghese. I Proun, sono una metafora -o un manifesto, o un prodotto- dei profondi cambiamenti che la rivoluzione comunista predica in tutti gli aspetti della vita, della cultura e della società.
Per vent’anni El Lissitzky progetta e allestisce mostre per far conoscere l’Unione Sovietica e la cultura della rivoluzione non soltanto a Dresda e a Berlino, ma anche a Parigi, a Colonia nel 1928 (10.12, 10.13), a Stoccarda nel 1929 (10.14) -dove presenta anche spezzoni di film del cinema sovietico-, e poi a New York, Belgrado, etc..
Non è necessaria un’analisi dettagliata di ogni evento. Emerge con chiarezza, la formidabile trasformazione dai primi lavori a questi allestimenti.
Le prime opere sembrano essere sostanzialmente ancora pura -e affascinante- grafica.
Nei Proun e nei lavori seguenti appare la rottura dei codici di rappresentazione.
Negli allestimenti, infine, viene proposto un uso orientato e coordinato delle arti e dei mezzi di comunicazione di massa emergenti: architettura, scultura, pittura, fotografia, tipografia, cinema…-.
Ma è ben di più di un ‘uso orientato’: è propriamente un’ibridazione di tutti i linguaggi, quella che non ha più bisogno di costruire “camere”, che crea un luogo nuovo in qualsiasi luogo preesistente, poiché lo sovrascrive, lo trasforma e lo rende irrilevante.
Un’ibridazione potentemente coerente, ma come quella propria di una metropoli. Un’ibridazione fondata sul rumore e la vita, che va ben oltre la coerenza, e proprio per questo straordinariamente efficace. Una “nuova configurazione” che si fa evento, azione, intorno a temi nuovi, tumultuosi e ben lontani da ogni tradizione precedente, ben lontani dall’idea di una qualche arte per l’arte.
Un’osservazione.
El Lissitzkj, pur nella sua ricerca perfettamente riconoscibile e legata ai tempi che ha attraversato, ci mostra un aspetto essenziale dell’allestimento contemporaneo, che ne segna la nascita e tutto lo sviluppo fino ai giorni nostri.
L’allestimento espositivo non è una tecnica, non ha un corpus disciplinare, e a seconda delle situazioni si adatta, saccheggia, utilizza e sfrutta opportunisticamente qualsiasi tecnica o disciplina gli convenga, qualsiasi codice di rappresentazione.
Privo di un codice autonomo, non agisce sullo stesso piano dei codici di rappresentazione che adopera. L’allestimento espositivo è un metalinguaggio.
In quanto tale può selezionare, organizzare e ibridare le espressioni di più linguaggi, siano questi la parola scritta o parlata, l’architettura, la pittura, la scultura, il suono, la musica e/o tutti quelli che possono concorrere a connotare o denotare un luogo.
[1] Circa questa proprietà, ossia circa l’impossibilità di non comunicare, vedi il potere della mostra, http://nicolamarras.eu/il-potere-della-mostra/
[2] Il luogo comune non cessa di colpire ed è ancora necessario spiegare ai non addetti ai lavori che il progetto dell’allestimento non è un progetto di arredamento o di una piacevole, elegante disposizione delle cose in mostra: è il progetto dell’esperienza che i visitatori faranno delle cose esposte…
10.1 mostra Kandinskij, Ala Napoleonica del Museo Correr, Venezia 1981
allestimento D. Ferretti
(autore ignoto, archivio N. Marras)
10.2
10.3
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10.4 Chichu Art Museum, isola di Naoshima 2016
Tadao Ando
https://www.nata-archviz.com/portfolio/archviz-chichu
10.5
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10.6 mostra Le corbusier pittore e scultore, Ala Napoleonica e Museo Correr, Venezia 1986
allestimento A. Castiglioni e N. Marras
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10.7 Sconfiggi i bianchi con il cuneo rosso!, 1919
El Lissitzky
https://en.wikipedia.org/wiki/Beat_the_Whites_with_the_Red_Wedge-
https://www.architectural-review.com/essays/reputations/el-lissitzky-1890-1941-
vedi anche il bellissimo video Beat the Whites with the Red Wedge – in motion: https://youtu.be/81gXjpzNGRo
10.8 Proun Room, Berlino 1923 (ricostruzione)
El Lissitzky
http://openfileblog.blogspot.com/2011/12/el-lissitzky-proun-room.html (ricostruzione del 1971)
http://www.atlasofinteriors.polimi.it/2018/11/23/el-lissitzky-proun-room-berlin-germany-1923/ (ricostruzione del 2018)
10.9 schema dell’allestimento della Camera Costruttivista, all’Internationale Kunstausstellung, Dresda 1926
(conservato al Stedelijk van Abbemuseum, Eindhoven)
El Lissitzky
https://www.researchgate.net/figure/El-Lissitzky-scheme-of-the-setting-up-of-the-Constructivist-Room-at-the-Internationale_fig3_339992903
https://davidhannafordmitchell.tumblr.com/post/86509648273/arquilatria-el-lissitzky-project-for-the
10.10 Kurt Schwitters, Hanover Merzbau, 1919
Foto: Wilhelm Redemann, 1933
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Hanover_Merzbau.jpg
10. 11 Kurt Schwitters Das Undbild, 1919,
Staatsgalerie Stuttgart
https://en.wikipedia.org/wiki/Kurt_Schwitters#/media/File:DasUndbild.jpg
10.12 brochure del progetto del padiglione sovietico alla Mostra Internazionale della Stampa, (Internationale Presseausstellung), Colonia 1928
El Lissitzky
https://en.wikipedia.org/wiki/Pressa
https://en.wikipedia.org/wiki/Pressa#/media/File:El_Lissitsky_1928_foldout.jpg
10.13 dettaglio, con fotografia dell’allestimento
https://en.wikipedia.org/wiki/Pressa#/media/File:El_Lissitsky_1928_foldout.jpg
http://www.artnet.com/artists/el-lissitzky/pavilion-of-the-soviet-union-at-pressa-exhibtion-MzZojB7XQWstCjwIwqH82g2
10.14 mostra FiFo – Film und Foto, Stoccarda 1929
El Lissitzky,
https://www.moma.org/interactives/objectphoto/assets/essays/Lugon.pdf
https://unframed.lacma.org/2013/08/06/fifo