Architetture e Culture

2003

mostra Architetture e Culture

Bologna, Urban Center, Museo Archelogico, Quadriportico della Fiera

allestimento, con Federico Vidari

grafica: Massa & Marti Communication design

committente: BolognaFiere, Cersaie, Saie

 

Il gioco degli specchi

Travestimento o temporanea costruzione, l’allestimento di una mostra produce uno spazio in un altro spazio: il “luogo della mostra” nel luogo che la ospita. In una rassegna di architetture, dunque, quasi inevitabile può apparire il confronto tra gli spazi delle architetture esposte e gli spazi dell’allestimento, tanto più se in essa compaiono anche complessi museali.

Architettura e allestimento hanno però statuti diversi.

L’architettura è fatta per durare: i nuovi musei, ad esempio, sempre più emblemi del potere della cultura, impongono il proprio linguaggio al di là del mutevole avvicendarsi di opere e autori.

L’allestimento di una mostra, al contrario, dura il breve tempo di questa, e a misura di questa -dei materiali esposti e delle ragioni che li comprendono- propone un luogo e un ordine effimeri e precari. Non ha linguaggi suoi propri: è una forma di rappresentazione, opera come un metalinguaggio. Può opporre all’autoreferenzialità dell’architettura ogni possibile apertura referenziale, alla gravità di quella anche la levità del gioco. Ordinando e rendendo reciprocamente incidenti i linguaggi in mostra, può decostruire e raccontare ogni progetto. Componendo contesti e sequenze negli spazi ideali di ‘rotonde’ e ‘gallerie’, può suggerire analogie, differenze, confini tra più progetti. Può anche dar forma a una tassonomia, orientando la lettura in una prospettiva coerente.

D’altra parte, una mostra di architettura non consente l’esperienza diretta dei suoi materiali. Non può esporli: l’opera di architettura non si presta, come un quadro o un brano musicale, ad essere portata o replicata in giro per il mondo. Li sostituisce con simulacri, finzioni. Immagini declinate nei linguaggi cui l’architettura affida la propria rappresentazione: il disegno, la maquette, la fotografia, il video.

In mostra, dunque, il confronto si dà tra i simulacri degli spazi -assenti- delle architetture e la realtà degli spazi -presenti- dell’allestimento.

[…] L’allestimento si mostra come finzione, e proprio in quanto tale può restituire ai simulacri la consistenza della realtà. Evocando -fingendo- due opposti archetipi dell’architettura, il recinto e il labirinto, può consentire di misurare la complessità dell’architettura contemporanea, e ad un tempo, con disincanto, esibire la provvisorietà sua propria e quella di ogni ipotesi di ordinamento del mondo reale. La permanenza del fatto architettonico si può riflettere nell’opposta immateriale provvisorietà dell’atto di interpretazione.

Fin qui sottinteso, il visitatore appare al centro del progetto dell’allestimento: l’ambiguità tra presenza e assenza, e l’incerto gioco tra realtà e virtualità, sostituzione ed evocazione, allusione e illusione, ne fanno l’arbitro e l’interprete della rappresentazione […].

(pubblicato in Abitare, n°441, luglio agosto 2004, pag. 91)

 

note sull’allestimento

La mostra si proponeva di documentare la storia recente e lo stato dell’arte nella progettazione di grandi architetture destinate ad usi culturali -quali musei, auditorium, teatri, biblioteche- ed era divisa in tre sezioni, ospitate in sedi diverse della città di Bologna.

La sezione dedicata alle architetture del futuro era allestita nel Quadriportico della Fiera. All’interno di cornici barocche, dorate, venivano proiettati i rendering di grandi progetti all’epoca in corso di realizzazione. Al centro della sala erano esposte le relative maquettes. Al di sopra dei quattro muri di perimetro, in pietra, le nuvole si rincorrevano e si accavallavano rapidamente nel cielo. Ai piedi dei muri il cielo e le veloci nuvole si riflettevano nel pavimento di specchio. I muri apparivano come un recinto, sospeso nel vuoto.

La sezione dedicata al presente era allestita nei quattro corridoi intorno a un cortile del Museo Archeologico di Bologna. Specchi montati ad arte negli angoli o sul fondo dei corridoi creavano l’illusione di un labirinto i cui rami si estendevano a perdita d’occhio.

La sezione dedicata al passato -qui non documentata- era ospitata nell’Urban Center in Piazza Grande.