clip 03: percorsi – gallerie e rotonde

punteggiatura

mostra Omaggio a Gillo Dorfles – il pittore clandestino: biografia e sogni

Riguardando il secondo box della mostra su Gillo Dorfles (2.10, 2.11), appare chiaramente la differenza tra la distribuzione indicativa dei quadri nel disegno di progetto (2.5) e la distribuzione reale.

Abbiamo detto che in cantiere, al momento di attaccare i quadri, all’ordine del catalogo si sovrappone -e, ripeto, vince quasi sempre- una logica sostanzialmente ‘purovisibilista’ (3.1, 3.2, 3.3).

Perché fossero evidenti anche agli occhi del visitatore le differenze e le analogie compositive tra le opere compresenti, per la curatrice e l’allestitore fu del tutto normale ricorrere, come sempre, al gioco delle distanze tra di loro: apparve naturale e necessario, appunto, articolare la distribuzione delle opere, e -secondo i casi- accostarle o distanziarle, proporre dei gruppi o isolarle.

 

Se, per un attimo, assimilassimo ancora il percorso di una mostra a un discorso o a un racconto -scritto o pronunciato ad alta voce-, potremmo dire di aver introdotto una punteggiatura  segnando le pause, introducendo sospensioni e riprese.

Perché anche l’occhio, come l’orecchio, è sensibile alla modulazione, coglie immediatamente le variazioni di ritmo e d’accento. Occhio e orecchio -ma forse tutti i sensi- hanno bisogno di differenze per conoscere e riconoscere.

Sulle somiglianze tra discorso nell’universo della parola e percorso nell’universo della mostra torneremo nelle prossime clip, quando prenderemo in esame altri allestimenti.

Per adesso, alcuni esempi ci aiuteranno a comprendere meglio il potere della punteggiatura, ma anche il mutevole intreccio dei rapporti tra gli oggetti esposti, quella che abbiamo chiamato punteggiatura ed il luogo che ospita l’esposizione.

 

Cominciamo con il padiglione della Germania alla Biennale del 1972, di Gerhard Richter, in una bellissima fotografia di Ugo Mulas (3.4).

Qui, in uno spazio di geometria analoga a quella dei box del PAC (vedi clip 02), ma di dimensioni maggiori, in una sorta di rotonda [1], senza un inizio e una fine, la punteggiatura sembra scandita da un metronomo.

Nella cadenza di immagini e di intervalli rigorosamente uguali l’occhio percepisce un tutt’uno.

Senza alcuna apparente gerarchia, circolarità e ricorrenza offrono, è vero, ad ogni pezzo la possibilità di confrontarsi con gli altri ad armi pari, ma possono anche azzerare, o rendere irrilevanti, proprio le differenze.

In questo allestimento non si può non vedere che tutti i pezzi presenti, tutte le persone ritratte nelle fotografie, sono assimilati sotto l’ombra di un’unica idea -o tema, o ragione, o potere-.

L’ordine è dettato dal centro -nella foto, ironicamente occupato da una ragazza, che ripara gli occhi dal sole (il sol dell’avvenir?) oppure, forse, saluta militarmente-.

 

Per contrappunto, viene da pensare al Pantheon (3.5), dove, in epoca imperiale, tutti gli dei avevano un altare, pari dignità, e venivano onorati in un tempio fantastico. Implicitamente, però, Roma -che li accoglieva e raccoglieva- li sottometteva tutti al proprio ordine, al proprio potere: non ultimo, il potere di decidere chi includere e chi escludere.

Anche al Pantheon l’ordine, il potere, emana dal centro, dalla luce. Ma sul perimetro una punteggiatura di edicole e di nicchie apparve necessaria non solo per lo spartito architettonico, ma, immagino, anche per non azzerare le differenze, e non ultimo -prudentemente- per non mischiare i fedeli di diverse confessioni.

 

Cambiamo scenario. In una galleria [1], in uno spazio egualmente nudo come a Venezia, ma di ben diversa geometria, la stessa punteggiatura scandita da un metronomo e i pezzi tutti uguali possono indurre letture e significati ben diversi.

Al PAC di  Milano, nel 2003, in una mostra su Ynka Shonibare, artista inglese di origini nigeriane, nella galleria del primo piano (3.6) furono esposte 11 stampe fotografiche in bianco e nero, ognuna di cm 76×94, separate da intervalli perfettamente identici.[2]

Ma qui c’era un percorso, si entrava da una parte e si usciva dall’altra, c’erano un inizio e una fine. Anche senza guardare la didascalia, l’occhio del visitatore poteva facilmente supporre di trovarsi davanti a un’unica opera.

Si trattava, infatti, di una serie di fotografie che ripercorrono la vicenda de Il Ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde.[3] Le immagini, come i fotogrammi di un film, giustamente avevano un ritmo costante, ed erano ordinate in un sistema di relazioni puramente lineare.

 

In un’altra galleria, immensa, quasi senza inizio e senza fine, la punteggiatura, le interruzioni, le pause e le riprese diventano nuovamente necessarie.

Nella Grande Galerie del Louvre (3.7) le dimensioni sono tali da imporre la segmentazione delle pareti espositive. I grandi archi, le colonne e le edicole scandiscono intervalli all’interno dei quali è possibile la visione simultanea di una quantità limitata si opere: così facendo, ogni opera risulta inserita in un contesto, e il confronto e il riconoscimento tra opere si gioca per accostamento.

 

Torniamo alla mostra su Dorfles, saltando provvisoriamente la seconda sezione.

Nella terza sezione, sul ballatoio, cui arriviamo salendo al primo piano del PAC (3.08), ritroviamo il tema della sequenza lineare, qui esasperato dalla decisione di riportare su un lungo nastro ininterrotto una sintesi della vita e dell’attività scientifica di Dorfles.

La produzione scientifica fu testimoniata da molti dei suoi libri, brevemente presentati da ampie didascalie inserite nel nastro, e fisicamente esposti nelle vetrine sottostanti.

La vita fu raccontata soltanto da fotografie, per una ragione elementare e affettuosa. La mostra era a Milano, dove Dorfles ha vissuto quasi tutta la sua vita: molti tra i visitatori sarebbero stati suoi amici, conoscenti, allievi, colleghi, artisti e compagni di strada: ossia tutte persone che si sarebbero cercate e facilmente riconosciute in quelle foto… (3.09, 3.10).

 

La quarta e ultima sezione, come si è detto, esponeva una selezione di quadri e disegni di quei grandi protagonisti delle avanguardie europee del ‘900 la cui conoscenza Dorfles aveva fortemente promosso nell’Italia postfascista.

Erano piccoli straordinari capolavori che avevano anche ispirato i sogni del giovane pittore, e che proprio come sogni, come apparizioni, andavano presentati a chiusura della mostra.

In questa piccola galleria, la luce -qui di fibre ottiche- e la punteggiatura rompono la sequenza e costruiscono insieme un nuovo paesaggio essenziale. Nella penombra, isole di luce guidano e scandiscono il percorso del visitatore (3.12, 3.13).

 

Chiudiamo questa clip e torniamo all’inizio della nostra riflessione.

Abbiamo mutuato -abusandone- il termine punteggiatura dall’universo del discorso, delle parole scritte o pronunciate: un universo nel quale tutti gli elementi si dispongono uno dopo l’altro, lungo la linea del tempo.

Dobbiamo però osservare che le punteggiature -ossia le forme di articolazione nella distribuzione delle opere- che abbiamo esaminato fino a questo punto, sono tutte applicate coerentemente a successioni lineari di quadri o di oggetti, disposti su pareti o pannelli che come nastri possono srotolarsi o richiudersi in anelli.

A questo punto, la domanda è: ma quando la disposizione delle opere non è lineare, che ne è della punteggiatura? E che ne è del percorso?

 

 

[1] Su galleria e rotonda, cfr. anche il saggio Scenari del mostrare, in questo sito, nella sezione Riflessioni

[2] Mostra Ynka Shonibare, PAC, Milano, 2003. Vedi anche in questo sito alla sezione Exhibit Design.

[3 Notevole però, che il protagonista, il dandy vittoriano per eccellenza, qui sia un nero, Shonibare stesso: anche qui, come in molte altre sue opere, esplora e rivisita temi quali l’autenticità, l’africanità, l’estetica e il sistema di valori della cultura inglese coloniale e postcoloniale. Vedi anche il saggio di Mariachiara Modica, 2019, in http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/autenticita-ed-identita-nellarte-africana-il-caso-di-yinka-shonibare-mbe/

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2.10  box 1

 

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2.11  box 1, dettaglio

 

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3.1  secondo box, prove di distribuzione: opere a pie’ d’opera prima del montaggio

 

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3.2  idem

 

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3.3  ingresso / primo box, prima del montaggio

 

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3.4  G. Richter, padiglione della Germania, Biennale di Venezia, 1972, foto di Ugo Mulas

http://losgrandesfotografos.blogspot.com/2017/01/ugo-mulas-1928-1973.html

https://barbarapicci.com/2017/01/16/fotografia-ugo-mulas-2/ugo-mulas-biennale-di-venezia/

 

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3.5  il Pantheon, oggi

https://www.google.it/search?hl=it&tbs=simg:CAQSuQIJpH00cBoYCxoarQILELCMpwgaYgpgCAMSKNEK0ArSCtQKxQrICsYK5hSMFY0V1zjZKssi8DjoKuk-8iLfKt04zCIaMEwxcgLjHcccdb-t2RcjidXYaIJQjinWaZsVux9VfBB-tKIls3UnK8hERsAAVUnmWyAEDAsQjq7-CBoKCggIARIEoX2k3wwLEJ3twQkapQEKHQoLZGF5bGlnaHRpbmfapYj2AwoKCC9tLzBrMm41ChcKBGRvbWXapYj2AwsKCS9tLzBjODVmZAoWCgRhcmNo2qWI9gMKCggvbS8wZHB2bQopChZieXphbnRpbmUgYXJjaGl0ZWN0dXJl2qWI9gMLCgkvbS8wMXNxbngKKAoWY2xhc3NpY2FsIGFyY2hpdGVjdHVyZdqliPYDCgoIL20vMGR2aDkM&q=pantheon+inside&tbm=isch&sa=X&ved=2ahUKEwjFtuzL-r7uAhWLDewKHbCjA_EQ2A4oAXoECBAQMQ&biw=1058&bih=978

 

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3.6  Ynka Shonibare, PAC di Milano, 2003, la galleria del primo piano

 

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3.7  Louvre, Parigi, La Grande Galerie

https://www.tripadvisor.it/AttractionProductReview-g187147-d11446386-Louvre_Museum_Priority_Access_Ticket_with_Audio_Guide-Paris_Ile_de_France.html#/media-atf/11446386/-5:p/?albumid=-150&type=0&category=-150

https://www.louvre.fr/en/routes/palace-museum

 

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3.8  Omaggio a Gillo Dorfles – il pittore clandestino, PAC di Milano – salendo al primo piano

 

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3,9  idem, il ballatoio

 

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3.10  idem, una vetrina

 

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3.11  idem, dal ballatoio

 

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3.12  idem, la galleria del primo piano

 

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3.13  idem