mostra Baj – opere 1951-2003 – Milano 2003
Carlo Scarpa, mostra Frescoes from Florence (Affreschi Fiorentini) – Hayward Gallery, Londra 1969
Continuiamo a parlare di buio.
Come abbiamo visto, il buio può servire per nascondere, ma può anche aiutare -o insegnare- a vedere.
La luce che fende il buio trasforma le cose che illumina, ma il buio trasforma i luoghi. Ci sono poi luoghi connotati dal buio, dall’oscurità: luoghi laici -come i teatri o i cinema- e luoghi sacri -come i templi o gli ipogei-. Se facciamo attenzione, il buio può essere esso stesso un luogo.
…
Due mostre, due racconti.
1.
Milano, nel 2003, vide una grande retrospettiva su Enrico Baj, ideata da lui stesso e curata da Roberta Cerini e Martina Corgnati. Lo Spazio Oberdan e la Galleria Gio’ Marconi ospitarono una vasta antologia di tutta la sua produzione fin dal 1951, mentre alla Fondazione Mudima venne esposta l’Apocalisse, e all’Accademia di Brera i Funerali dell’anarchico Pinelli. (link)
Funerali dell’anarchico Pinelli è forse il capolavoro di Baj.
Occorre una premessa, perché anche i più giovani possano comprenderne le ragioni.
Il soggetto dell’opera è in realtà la morte di Giuseppe Pinelli, caduto da una finestra durante un interrogatorio nella Questura di Milano.
Nel primo di una serie infinita di tentati depistaggi, gli anarchici Pinelli e Valpreda erano stati arrestati, portati in Questura e -ingiustamente- accusati della strage alla Banca dell’Agricoltura, a Milano, il 12 dicembre 1969.
La strage fu il primo clamoroso atto ‘ufficiale’ di quella che venne poi chiamata la strategia della tensione: una serie di attentati compiuti da gruppi neofascisti e settori -poi detti ‘deviati’- dei servizi segreti italiani, che hanno insanguinato per oltre un decennio e forse cambiato per sempre la storia della Repubblica.
Con queste premesse, possiamo ben comprendere perché Baj, pur nella propria e inconfondibile poetica, citi deliberatamente Guernica di Picasso.
Il primo problema dell’allestimento era che l’opera -di 12 metri di larghezza e circa 6 di altezza-, doveva essere esposta nell’aula magna dell’Accademia, stracolma di grossi calchi in gesso di sculture classiche: calchi che non potevano essere spostati (15.1, 15.2).
Si decise, dunque, di far ‘sparire’ i calchi nel buio.
Ma non fu, questa, l’unica funzione del buio.
Sarebbe più corretto dire, infatti, che l’oscurità qui serviva per mettere in luce le cose chiare e per lasciare nell’ombra le cose oscure: i Funerali dell’anarchico Pinelli e un pupazzo -il Punging generale-, di lato, seminascosto in fondo alla sala (15.3, 15.4).
Il pupazzo, rappresentante un alto ufficiale pluridecorato, era stato voluto e realizzato da Baj per spiegare simbolicamente l’accaduto[1]. Perché nell’ombra? Perché nell’ombra, nascosti nel buio, sono a tutt’oggi i mandanti di quelle stragi. Nel buio si nasconde la catena del potere e del denaro che, passando per l’oscuro Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, rese possibili quelle stragi e ha gestito tutti i depistaggi.
Un’altra funzione del buio, non meno importante, era creare il silenzio.
L’oscurità e il silenzio, come in un tempio, erano condizioni essenziali per avvicinarsi all’opera di Baj: Funerali dell’anarchico Pinelli è certamente un’opera d’arte e, come tale, può essere esposta in una galleria (15.5), ma è anche in realtà una straordinaria pala d’altare laica (15.6).
Tutti, anche gli scatenati studenti dell’Accademia, entrando, improvvisamente tacevano, o sussurravano, e sottovoce pensavano.
Il buio serve per nascondere, abbiamo visto, ma può anche servire, appunto, per accogliere rispetto, attenzione e riflessione. Per comprendere il perché di quell’opera, il perché della morte di Pinelli, di quella e di tante altre stragi.
2.
Andiamo, ora, molto indietro nel tempo.
Il 4 novembre 1966 una catastrofica alluvione colpì gran parte del bacino idrografico del fiume Arno. Una marea di acqua, fango e nafta -quella degli impianti di riscaldamento-, alta fino a 5 metri inondò anche il centro storico di Firenze.
I danni al patrimonio artistico della città furono immensi. Ma straordinario fu l’aiuto che venne da tutte le istituzioni del mondo e da tanta gente. Fu anche la prima volta in cui una generazione di ragazzi di ogni nazionalità -all’epoca senza cellulari, senza internet, senza social media, senza influencer e senza alcuna ‘chiamata’-, si mosse spontaneamente da ogni paese per venire a Firenze, per spalare il fango, per lavare migliaia di libri antichi e di incalcolabile valore. Li chiamarono gli angeli del fango.
Tre anni più tardi, Corporate Identity Olivetti -diretta da Renzo Zorzi- organizzò una grande mostra itinerante. Lo scopo era ringraziare tutti coloro che avevano prestato il loro aiuto e far vedere al mondo una prima parte delle opere che si era potuto salvare.
A Londra la mostra fu ospitata dalla Hayward Gallery e l’allestimento affidato a Carlo Scarpa.
Guardando l’allestimento, su può supporre -forse- quali obiettivi Scarpa si sia dato.
Il primo obiettivo era esibire, far apprezzare in tutta la loro bellezza le opere.
Scarpa aveva una straordinaria cultura storico-artistica e una finissima sensibilità nella lettura critica e nell’accostamento all’opera d’arte[2].
Allora, quasi secondo una logica purovisibilista, in questo allestimento pone l’osservatore nella condizione di potersi immergere totalmente, senza mediazioni, nella pienezza espressiva dell’opera.
Ed ecco la prima ragione del buio. Con un’operazione che potremmo definire minimalista, nel buio annulla il luogo ospite, e davanti al visitatore affida il gioco dell’allestimento a due sole componenti: superfici e luce.
Le opere sono collocate basse, le dispone quasi sempre all’altezza degli occhi (15.7, 15.8), in alcuni casi le sovrappone e le inclina verso chi guarda (15.9, 15.10).
Scarpa sembra citare -e probabilmente cita- allestimenti del Bauhaus, ma la ragione -ecco il secondo obiettivo di Scarpa- qui non è solo ergonomica: qui vuole mostrare pezzi di un’alta parete affrescata, pezzi di un abside, di un archivolto.
Vuole far vedere che sono solo frammenti. Scampati alla catastrofe. Vuole far capire che sono -o che erano- parte di un contesto, e che molte parti del contesto originale sono andate perdute per sempre.
Dà così vita a una silenziosa metafora.
Le opere sono staccate dai pannelli di fondo, così come gli affreschi sono stati staccati dai muri delle chiese. A volte rinforza l’idea sdoppiando, iterando il pannello di fondo.
I pannelli di fondo, sono lisciati a intonaco o a stucco. Sono come i muri rimasti nudi, spogliati dalla distruzione.
Il buio qui è il vuoto.
I pannelli supportano frammenti delle superfici originali. Nel buio e nel vuoto sono distinti e separati, non ricompongono un’unità. Sono pezzi dispersi che possono solo parzialmente evocare -e certo non vogliono simulare- l’unità e l’insieme perduto.
Illuminati, sottratti al buio, quei pannelli, alla fine, restano opere preziose, forse ora anche di più, ma opere a sé, che puoi ammirare una alla volta, come montate su passepartout (15.11).
Anche qui il buio è il recinto della mostra, il recinto che consente alla mostra di essere un’eterotopia e un’eterocronia. Un recinto sacro, separato dal mondo. Al suo interno il percorso è frantumato come il tempo e come gli affreschi, sembra consistere nell’intervallo, nella frattura che divide un frammento dall’altro.
Ultima osservazione.
Purtroppo, non ho potuto visitare la mostra di Londra ed ero ancora un ragazzo quando, nel 1962, visitai per la prima volta la Biennale di Venezia. Dunque, questa osservazione potrebbe essere semplicemente un abbaglio, una suggestione suggerita da bellissime fotografie e da antichi ricordi. Tuttavia, non posso evitare di proporla, se non altro, come un’ipotesi di lettura.
Il gioco dei pannelli staccati da terra e tra loro ricorre in molti lavori di Scarpa.
Eppure, la sala di Giacometti alla Biennale del 1962 (link) e questo allestimento alla Hayward Gallery nel 1969, sembrano disegnare scenari completamente agli antipodi.
A Venezia, Scarpa costruisce un luogo, che ignora e si separa dal luogo ospite. In esso compone uno spazio straordinariamente unitario, reso coerente dall’ordine in cui gravitano tra loro le superfici immateriali dei pannelli e la materia delle sculture. Spatium est ordo [rerum] cohexistendi -pensando ancora a Leibnitz-.
A Londra, nel buio, i pannelli non sono affatto immateriali: sono pezzi di murature, disposti lungo un percorso non meno spezzato. Non compongono alcun ordine. Gli affreschi sono amorevolmente e accuratamente raccolti, certo, ma appaiono per quello che sono: frantumi sospesi nel buio, in un vuoto che è assenza.
Tentando un’altra analogia, potremmo dire che se le componenti degli allestimenti di Venezia e di Castelvecchio -sculture, luce, architettura- compongono una danza fantastica o una sinfonia, qui, a Londra, le superfici, i frammenti di affreschi e i fasci di luce nel buio appaiono come schegge -di incomparabile bellezza- immobili, congelate nel silenzio.
[1] Ma anche per introdurre un elemento ludico. Montato su una grossa molla era pronto a ricevere -come un pungingball- gli schiaffoni dei visitatori. O forse suggeriva che il ridicolo è forse l’unica arma in grado di demolire questi generali.
[2] Una volta, a Mantova, parlando di allestimenti, Renzo Zorzi mi disse che a suo avviso nessuno come Scarpa sapeva costruire le migliori condizioni di visibilità di un’opera d’arte.
15.1
Mostra Baj – opere 1951-2003, Milano 2003
Funerali dell’anarchico Pinelli, Aula Magna dell’Accademia di Brera
L’Aula Magna -con la gipsoteca- durante il cantiere
15.2
15.3
15.4 controcampo, con le luci di servizio accese
15.5 Funerali dell’anarchico Pinelli, Galleria Gio’ Marconi, Milano 2017
15.6 Funerali dell’anarchico Pinelli, Aula Magna dell’Accademia di Brera, 2003
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15.7 Carlo Scarpa, mostra itinerante Frescoes from Florence – allestimento alla Hayward Gallery, Londra, 1969
ph. Chorley, Hyman & Rose Ltd.
Foto del Fondo Maria Vittoria Lodovichi/Foto e Documentazione Eventi, fascicolo 591, Fototeca Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea
ph. Chorley, Hyman & Rose Ltd.
Foto del Fondo Maria Vittoria Lodovichi/Foto e Documentazione Eventi, fascicolo 591, Fototeca Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea
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Foto del Fondo Maria Vittoria Lodovichi/Foto e Documentazione Eventi, fascicolo 591, Fototeca Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea
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Foto del Fondo Maria Vittoria Lodovichi/Foto e Documentazione Eventi, fascicolo 591, Fototeca Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea