clip 12: allestimento e architettura

mostra  I musei di James Stirling, Michael Wilford & Assiciates

Bologna, Galleria d’Arte moderna, 1990 – Fiera di Bologna

In questa clip esamineremo un unico allestimento. Le sue caratteristiche molto particolari permettono di dare corpo ad alcuni temi già affrontati e a nuove riflessioni di carattere generale.

 

Nel 1991, L’Assopiastrelle -la sezione della Confindustria che associa gli industriali della Ceramica- chiama Francesco Dal Co per organizzare mostre ed eventi a contorno del CERSAIE -il Salone Internazionale della Ceramica per l’Architettura– e del SAIE -la Fiera delle Costruzioni– che si tengono ogni anno tra settembre e ottobre alla Fiera di Bologna.

Dal Co decide, per quell’anno, di fare una mostra sui progetti di musei di James Stirling e, a sua volta, chiama Achille Castiglioni e me per curarne l’allestimento.

 

La mostra avrebbe dovuto essere allestita negli spazi della Galleria Comunale d’Arte Moderna, all’epoca situata accanto all’ingresso principale della Fiera.

Già nel primo sopralluogo (12.112.212.3), Castiglioni ed io ci rendemmo conto dell’impossibilità di usare quegli spazi così com’erano. Perché?

Prima di tutto, perché sarebbe risultato impietoso il confronto tra l’onesta Galleria e i musei progettati da Stirling, a volte discussi e discutibili, ma pur sempre grandi architetture.

E poi, perché gli angusti e frammentari spazi della Galleria avrebbero fatto uno spezzatino dei dodici progetti di Stirling.

Venne così deciso che la mostra si sarebbe concentrata nell’unico spazio di un certo respiro, il salone centrale della Galleria -di circa m 17×17 per un’altezza di circa m 6 sotto le balconate-, con l’aggiunta di due piccole salette accessorie (12.4),  e che l’allestimento avrebbe dovuto nascondere completamente il resto della Galleria.

 

Stabilito il luogo, si trattava ora di procedere al progetto dell’allestimento. Con quali presupposti?

 

Primo punto.

A differenza di quadri, sculture o brani musicali, l’architettura non può essere portata in giro per il mondo: si può vedere soltanto lì, dov’è.

Dunque, a differenza di tutte le altre, una mostra d’architettura non può esporre i suoi oggetti. Può esporne soltanto le sue rappresentazioni: disegni, fotografie, maquette, video. Ergo, se non si vuole mostrare sbrigativamente progetti come fossero quadri e maquette come fossero sculture, l’allestimento deve assumere un ruolo ben diverso.

 

Secondo punto.

In mostra sarebbero stati presentati progetti di musei: dunque anche di sale di esposizione. Inevitabilmente ci sarebbe stato un confronto tra i progetti esposti e l’esposizione dei progetti -il nostro allestimento-.

Situazione imbarazzante: qualunque ne fosse l’esito, non sarebbe stata né educata, né opportuna una gara tra Stirling e noi.

Tanto più imbarazzante, perché sarebbe stata una gara ìmpari: tra lo spazio reale dell’allestimento e quello solo ‘evocato’ dai materiali esposti.

 

Dunque, l’allestimento doveva prendere le distanze dai progetti presentati. Ma come?

A ben vedere, ci sono profonde differenze tra le sale di esposizione di un museo e quelle di una mostra.

 

In breve, l’architettura di un museo è fatta per durare. Gli spazi di un museo devono esibire una propria autonomia di forme e di linguaggio rispetto agli oggetti esposti, poiché questi -opere e autori- possono cambiare nel corso del tempo.

 

La struttura espositiva di una mostra è invece effimera. L’allestimento di una mostra nasce e muore con la mostra, viene prodotto appositamente per l’oggetto da esporre, ne offre a volte un’interpretazione critica, ne guida sempre -che si voglia o no- alla lettura.

 

Ergo, il nostro allestimento avrebbe dovuto mostrare di ‘non essere architettura’: avrebbe dovuto ostentare la propria provvisorietà, contro la durata dei musei, ed esibire la propria stretta attinenza con l’oggetto esposto, contro l’indifferenza del museo al mutare di opere e autori.

 

Terzo punto.

Dall’elenco provvisorio dei materiali da esporre (12.05), prontamente fornito da Tom Muirhead -collaboratore di Stirling e, insieme a Dal Co, curatore della mostra- era emerso che occorrevano circa 120 metri lineari di parete espositiva, contro i 68 del perimetro della sala: dunque, dovevamo moltiplicare le pareti.

 

Quarto punto.

Stirling aveva progettato 12 musei, e, di questi, solo 4 erano stati realizzati. La sproporzione tra progetti e realizzazioni suggeriva di presentare tutti i progetti in modo omogeneo tramite disegni e maquette -perché fossero più facilmente confrontabili e perché fosse più leggibile l’evoluzione della ricerca progettuale di Stirling-, e di proiettare le diapositive delle 4 realizzazioni in una saletta separata, ‘fuori percorso’.

 

Quinto punto.

Il percorso non poteva che essere rigorosamente lineare.

Non soltanto la successione dei progetti doveva essere cronologica, ma anche in ogni progetto la sequenza dei materiali era -ed è ancora oggi- fissata forse non da una convenzione formale, ma certo dalla consuetudine.

 

Questi erano i presupposti. Ma il progetto, ovviamente, non nasce mai per deduzione. I presupposti definiscono il perimetro entro cui lavorare. All’inizio, servono per verificare se un’ipotesi è percorribile, e, alla fine, se il progetto è ammissibile o è tutto da rifare…

 

Quella volta l’idea base del progetto si formò per puro caso e quasi immediatamente.

 

Pochi mesi prima, con Sergio Polano avevamo fatto un lungo giro in Europa per andare a guardare un po’ di architetture. A Stoccarda, la Neue Staatsgalerie di Stirling (12.612.712.8) mi aveva lasciato un’impressione complessa.

Certamente, l’inserimento nel tessuto urbano era geniale. Un percorso pedonale attraversa il complesso da parte a parte, ricucendo frammenti sparsi di città e nel contempo inserendo il museo nell’uso e nella vita dei cittadini.

Coerentemente, l’architettura dei nuovi volumi si contrapponeva irridente e antimonumentale alla storica Alte Staatsgalerie, esibendo onde di vetrate e acciai dai colori pop tra austeri muri di pietra composti in un fantastico disegno a strisce orizzontali. Stirling -mi spiegò Polano- aveva fatto riaprire le vecchie cave per utilizzare lo stesso splendido materiale della città storica.

Ma, ai miei occhi -erano credo le prime facciate ventilate che vedevo-, le esili lastre in pietra dei pur bellissimi muri sembravano finte, e facevano sembrare finta tutta l’architettura, quasi fosse di carta. Sono sicuro che Stirling fosse ben consapevole di questo ‘inganno’, e che proprio per questo, con la sua proverbiale ironia e sorniona leggerezza, abbia simulato il crollo di un pezzo di muro: per mostrare a terra -oplà!- non lastre, ma solidi conci (12.9). O invece voleva mostrare la vittoria della nuova architettura sulle macerie della vecchia?

 

Confesso che mi lasciarono perplesso alcuni dettagli di quell’architettura affascinante, negli interni come negli esterni. Qui, ne segnalo soltanto uno, perché torneremo a parlarne in queste note. Era mai possibile che lo smaltimento delle acque meteoriche dalle coperture fosse affidato a dei grossi doccioni che costellavano il percorso pedonale esterno, soprattutto nel tratto più alto? Come non immaginare, in un giorno di pioggia, i poveri passanti travolti dalle cascate?

 

Quella volta l’idea base del progetto -dicevo- si formò per puro caso e quasi immediatamente.

Inaspettatamente, si associarono nella mia memoria le impressioni che mi aveva lasciato la Neue Statsgalerie e le immagini del padiglione RAI che i fratelli Castiglioni avevano inventato per la Fiera di Milano del 1965 (12.10).

L’idea era elementare: l’invenzione geniale dei Castiglioni poteva essere riconvertita nella nostra mostra per far volare -appunto come architetture di carta- i muri in pietra di Stoccarda!

Buttai giù dei rapidi schizzi dell’idea e volai da Achille per parlarne. Per un serissimo giocoliere come Achille fu un invito a nozze. Ci mettemmo subito al lavoro e due ore più tardi avevamo sostanzialmente deciso tutto.

 

Ripercorriamo in breve lo sviluppo del progetto. Trovato il cuore del progetto, occorreva ora dargli corpo nel modo più semplice ed efficace.

Partimmo dallo schizzo della pianta schematica (12.11) e dalla sezione (12.12). Verificammo sommariamente che lo sviluppo delle pareti espositive utili (circa 115 m) sarebbe stato sufficiente.

Fu presto acquisito che le nostre pareti volanti dovevano essere una rappresentazione dei muri di Stoccarda, non una simulazione: dunque, restando completamente bianchi, avrebbero riprodotto ‘graficamente’ la composizione delle lastre, ma non la materia.

Decidemmo di inclinare le pareti verso l’osservatore -per facilitare la visione dei disegni, ma anche in analogia con certi dettagli di Stoccarda- e di semplificare la struttura: le travi ponte potevano essere nascoste direttamente nello spessore dei muri volanti, scaricando il peso sul perimetro del salone. (12.13)

Avremmo isolato la sala della Galleria dai piani sovrastanti montando un ‘gobbo’ (un velario nero oscurante) alla quota dei ballatoi. Sotto il gobbo, all’inizio avevamo pensato di illuminare di luce indiretta i disegni, nascondendo lampade fluorescenti sul colmo dei muri e proiettandone il flusso su un ‘cielino’ (un velario bianco ‘a soffitto’). Ma poi ci ripensammo: potevamo dimezzare tempi, lavoro e costi disponendo le lampade al di sopra di un velario diffusore teso tra le pareti volanti (eliminando così anche i giunti cuciti tra le pezze). (12.14)

In ogni caso, la corretta conservazione dei disegni  imponeva che l’illuminamento restasse sotto i 50 lux. Ma questo, con il sole di settembre, significava che il visitatore, entrando, avrebbe avuto la sensazione di uno spazio poco luminoso, in penombra.

Risolvemmo anche questo problema molto semplicemente: in una saletta d’ingresso completamente nera e al buio, quattro grandi diapositive a colori dei musei realizzati -stampate su polietilene bianco latte e retroilluminate- avrebbero trattenuto per qualche minuto il visitatore. I suoi occhi abituati così al quasi-buio avrebbero trovato poi luminosissimo lo spazio della mostra.

Infine, la saletta per la proiezione delle diapositive dei quattro musei realizzati trovò posto a metà percorso. Delle panche avrebbero consentito la sosta e il riposo. (12.15)

Ora occorreva che Stirling approvasse…

Sapevamo bene che Stirling disegnava magnificamente. Allora, un po’ per illustrare la nostra idea e un po’ per civetteria, inviammo a Londra il progetto di massima con due piccoli disegni di presentazione (12.1612.17). Stirling si dichiarò entusiasta del nostro lavoro.

La settimana successiva cominciarono ad arrivare da Londra le impaginazioni dei disegni su ognuna delle pareti (12.18). Ai primi di settembre, dopo la costruzione di un prototipo (una tranche di corsia) per mettere a punto l’illuminazione, si aprì il cantiere. Tre settimane più tardi si inaugurò la mostra (12.19 / 12.24).

 

Come al solito, analizziamo rapidamente questo lavoro.

Il luogo ospite, come deciso, fu totalmente -e serenamente- nascosto dall’allestimento.

Il luogo creato dall’allestimento -il luogo della mostra– si presentò davvero come un’eterotopia -uno spazio reso ‘innaturale’ dall’apparente assenza di gravità (i muri volanti) e dall’assenza di ombre (sotto i muri non c’era ombra, ma addirittura più luce, per la somma dell’illuminamento proveniente dalle corsie adiacenti)- e come un’eterocronia -sia durante i lavori, sia poi visitando la mostra, letteralmente si perdeva la cognizione del tempo-[1].

In tal modo, l’allestimento esibiva la propria inconfondibilità con l’architettura, connotata invece dal senso del grave, dalle ombre, dal tempo.

Lo scherzo dei muri volanti (e poi vedremo dei doccioni), da un lato, corrispondeva a quanto di ludico e irriverente è anche tipico dei lavori di Stirling, dall’altro, stroncava allegramente ogni aspirazione a quella sacralità che alcuni critici d’arte vorrebbero attribuire allo spazio delle mostre (e dei musei).

E’ ben vero che -mutatis mutandis- si allestisce una mostra così come si allestisce una cerimonia o uno spazio sacro: l’allestimento è una pratica che declina un luogo in una direzione, alla ricerca di un determinato effetto o per apprestarlo ad una precisa funzione. Ma una mostra non è -e non dovrebbe essere- un tempio: è -o dovrebbe essere- un luogo assolutamente laico dove il piacere della conoscenza e l’immersione nei sensi sono -o dovrebbero essere- totali e totalizzanti.

La visita di una mostra dovrebbe essere intrigante e coinvolgente come un viaggio di Ulisse.

 

A fine mostra, qualcuno suggerì di riutilizzare il nostro allestimento anche per altre mostre –per mostrare qualsiasi cosa, salvo forse i mammut, come scrisse gentilmente Guido Canali in una lettera inviata alla direzione della Galleria bolognese e, per conoscenza, affettuosamente, a Castiglioni-. Ma sarebbe stato sbagliato. Un luogo visibilmente creato a misura e per le ragioni dei musei di Stirling avrebbe tradito tutto il suo senso se usato diversamente.

 

Come abbiamo detto, la natura dei materiali -disegni di progetti architettonici- implicava un percorso rigorosamente lineare. Tuttavia, la scelta -date le premesse, anch’essa obbligata- di un percorso a cul-de-sac dava luogo anche ad altri giochi.

Entrando alla mostra, il visitatore trovava alla propria sinistra il primo e più vecchio dei progetti di Stirling, ma, guardando a destra, poteva confrontarlo con l’ultimo e più recente. Lungo tutto il percorso, dunque, la successione dei progetti, interagiva con la visione simultanea di opere appartenenti a tempi e a ragioni diverse, consentendo a Stirling e ai curatori di mettere in luce le differenze.

La compresenza fronte a fronte di opere diverse ci suggerì un’altra ‘castiglionata’ [2]: la divisione delle due direzioni di marcia mediante mattonelle gialle, simili a quelle usate come spartitraffico nelle strade -ma che in realtà erano segnapista per aereoporti-.

Anche l’ultima facezia venne fuori per caso. Lungo il percorso, nell’infilata stretta delle corsie, ci rendemmo conto che occorreva trovare un segnale non solo grafico, ma tridimensionale e ben riconoscibile, che marcasse l’inizio di ogni nuovo progetto. E così montammo delle sagome che riproducevano il profilo dei doccioni presenti lungo il percorso pedonale della Staatsgalerie…

In cantiere, un pomeriggio, durante il montaggio dei disegni, Stirling passando sotto uno di quei quasi-doccioni, sorridendo malizioso si riparò sotto una cartellina che aveva in mano. Non feci in tempo a fotografarlo.

 

 

 

[1] Su questi concetti vedi la clip 01, e, ivi, in particolare la nota 1

[2] Così la definì Castiglioni stesso in un’intervista, ed io, sul momento, ci restai male: era una scelta che avevamo fatto insieme, senza neanche il bisogno di discuterne. Poi ci ripensai. Sì, era vero che per me e la mia generazione era perfettamente naturale il riuso di cose e materiali al di fuori dei territori d’origine: l’uso, il riuso e l’abuso per cui potevamo fare librerie con tubi quadri di eternit, lampadari con i bicchieri di carta, pareti traslucide con bottiglie di plastica vuote, etc. Ma era altrettanto vero che i Castiglioni per primi avevano cominciato a fare, ad esempio, lampade con i fari d’automobile, con i passafili delle canne da pesca, e con i pesanti trasformatori di corrente. Trent’anni di differenza d’età avevano trasformato l’invenzione di uno di noi in cultura popolare dell’altro. Ripensandoci, dunque, riconobbi come avessimo ragione tutt’e due. Quando, qualche giorno dopo, gli raccontai queste mie riflessioni, Achille si commosse.

12.01_ingresso stato attuale

12.1  Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna 1990 – l’atrio

 

12.02_Morandi 1

12.2  gli spazi espositivi

 

12.03_Morandi 2

12.3  vista sul salone dalla balconata

 

12.04_03_Stirling-Khan pianta iniziale copia

12.4  pianta di lavoro con gli spazi assegnati alla mostra

 

12.05_01_Stirling elenco disegni copia 2

12.5  una pagina dell’elenco provvisorio dei materiali da esporre

 

 

 

12.06_foto aerea_T07010952

12.6  la Alte Staatsgalerie (a sx) e, accanto, la Neue Staatsgalerie di Stoccarda (a dx)

https://www.nuernbergluftbild.de/luftbilder/2952-staatsgalerie-stuttgart-baden-wuerttemberg

 

12.7_2_media.media.2a67dc68-f925-49eb-8cfd-2c122b73975f.original1920

12.7  l’ingresso alla Neue Staatsgalerie

https://www.stuttgarter-nachrichten.de/inhalt.30-jahre-neue-staatsgalerie-stuttgart-james-stirling-ein-museum-ein-ereignis.2f9cd4ca-0f09-4816-b9d5-6cbc9395e962.html

 

 

12.8_1_New-State-Gallery-Ger-Stuttgart-James-Stirling-1984

12.8

https://www.britannica.com/topic/Staatsgalerie

 

 

12.09_1241232305_dbcac36898_b-1

12.9  dettaglio del muro ‘crollato’

https://www.britannica.com/topic/Staatsgalerie

 

 

12.10_padiglione_rai_fratelli_castiglioni_1965

12.10  A. e P.G. Castiglioni, padiglione RAI alla Fiera di Milano, 1965

https://www.piergiacomocastiglioni.it/project/padiglione-rai-1965/https://pensareperimmagini.wordpress.com/100-immagini-per-pier-giacomo-castiglioni-vota/#jp-carousel-347

 

 

 

12.11_04_Stirling pianta schematica copia 2

12.11  mostra I musei di James Stirling, Michael Wilford & Associates, Bologna 1990

allestimento A. Castiglioni e N. Marras

primo studio della pianta

 

12.12_05_Stirling ipotesi muri 1 copia 2

12.12  studi sulle prime ipotesi

 

12.13_06_Stirling ipotesi muri 2 copia 2

12.13  studio con le pareti espositive spioventi, travi ponte interne, illuminazione riflessa dal velario

 

12.14_sezione 2bis

12.14  illuminamento diretto e velari diffusori sospesi tra le pareti

 

12.15_pianta definitiva

12.15  pianta schematica definitiva

 

12.16_schizzo 2 copia 2

12.16  disegno di presentazione dell’idea

 

12.17_09_Stirling schizzo 1 copia 2

12.17  idem

 

 

12.18_10_Stirling impaginazione copia 2

12.18  impaginato del progetto n°8 inviato da Tom Muirhead

 

 

12.19_DSCN0816 2 copia 2

 

12.19  in cantiere – da sx, James Stirling, Tom Muirhead, Nicola Marras, Achille Castiglioni

reportage b/n courtesy by Cesare Colombo

 

12.20_DSCN0818 2 copia 2

12.20  da sx, Francesco Dal Co, James Stirling, Achille Castiglioni

foto, courtesy by Cesare Colombo

 

12.21_DSCN0821 2 copia 2

12.21  durante l’inaugurazione

foto, courtesy by Cesare Colombo

 

12.22_DSCN0822 2 copia 2

12.22   sul fondo, a sx, Achille Castiglioni e Nicola Marras

foto, courtesy by Cesare Colombo

 

12.23_DSCN0823 2 copia 2

12.23  la prima corsia – in fondo a dx la saletta d’ingresso al buio, e a sx l’uscita

 

12.24_DSCN0825 2 copia 2

12.24  tra la terza e la quarta corsia – in fondo a dx l’ingresso alla saletta di proiezione