Terragni: la sala “O” nella Mostra della Rivoluzione Fascista e la sala del Canottaggio nella Mostra dello Sport Italiano
Mostra dell’Aeronautica
Parliamo ancora di luoghi, di travestimenti e di linguaggi.
Nel 1932, Dino Alfieri -all’epoca Presidente dell’Istituto Fascista di Cultura di Milano, e qualche anno dopo Ministro per la Stampa, Propaganda e Cultura Popolare -nell’amara ironia del tempo, il MinCulPop- è l’ideatore e l’organizzatore di una grande mostra per celebrare il decennale della marcia su Roma, l’atto che segna la conquista del potere da parte di Mussolini. La mostra pensata originalmente per il Castello Sforzesco, a Milano, fu poi realizzata a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, dove rimase fino al 1934.
La mostra doveva ripercorrere -e avvolgere nell’aura del mito eroico- gli avvenimenti e i passi che dall’interventismo del 1914 avrebbero portato all’avvento del regime fascista nel 1922.
L’allestimento doveva conquistare lo “spirito” del visitatore, portarlo a identificare la rivoluzione fascista con l’audacia di un nuovo linguaggio, e viceversa, scrive Giorgio Ciucci in un bellissimo articolo[1] di alcuni anni fa.
Il nuovo linguaggio travestì e nascose completamente il Palazzo delle Esposizioni che l’ospitava, non solo negli interni, ma anche all’esterno, dove Libera e De Renzi eressero una nuova provvisoria -e minacciosa- facciata (11.1, 11.2)-.
La mostra si articolava in più sale o sezioni successive -burocraticamente identificate dall’ordine alfabetico (11.3)-. Ognuna di esse doveva rappresentare un momento o un aspetto della rivoluzione fascista.
L’allestimento di ogni sala era affidato a un autore diverso: ad architetti come Libera, De Renzi, Nizzoli, Terragni, etc. e a pittori come Sironi, Prampolini, Funi, etc..
L’unitarietà nelle opere di personalità così diverse -come scrive ancora Ciucci- era garantita dal ripetersi ininterrotto di fotomontaggi e bassorilievi carichi di segni caratteristici e identitari: adunate, fasci, aste di bandiere, tricolori, gagliardetti, mitragliatrici, aquile, pugnali, granitiche sagome di soldati, etc. E, ovviamente, dall’onnipresenza di fotoritratti o di profili di Mussolini…
La sala “O” (11.7) fu affidata a Terragni con il compito di rappresentare l’anno 1922 fino all’inizio di ottobre.[2]
Terragni vuole -o deve- evocare il fermento di quell’anno, dalla mobilitazione squadrista contro gli scioperi dei sindacati anarchici e socialisti (che protestavano anche per le violenze fasciste), all’assalto e all’incendio della sede dell’Avanti!, agli ultimatum di Mussolini, connotando l’ottobre del ’22 come il mese della svolta.
Sul soffitto sospese una grande X -il simbolo del decennale- incrociando due ali d’aereo bordate di pugnali.
Divise in due la sala con una parete diagonale[3] che seguiva una delle ali della X, e stracaricò ogni superficie disponibile con tutti gli stilemi dell’iconografia fascista: esasperando i contenuti della mostra tanto che Edoardo Persico giunse a scrivere, nel commento alla mostra [su La Casa Bella], di “terremotata fantasia di Terragni”[4] .
Analizziamo rapidamente questa sala.
Il luogo ospite è completamente escluso, come in tutta la mostra: il Palazzo delle Esposizioni è soltanto un contenitore nascosto dall’orgia di icone e di segnali.
Il luogo creato dall’allestimento è connotato quasi integralmente da un unico codice di rappresentazione: il codice di autorappresentazione -e autocelebrazione- del fascismo.
Il percorso interno alla sala è irrilevante, travolto dalla compresenza simultanea di mille segnali.
I segnali possono apparire confusi e ammassati ai nostri occhi, oggi, come ad un antifascista qual era Persico, allora. Ma il sistema di relazioni e referenze con il mondo esterno, con l’Italia di quel tempo, li rendeva tutti perfettamente riconoscibili da parte dei visitatori.
Non solo: erano assolutamente omogenei, coerenti e consonanti tra loro. Come l’urlo di migliaia di persone all’unisono. Come l’urlo della folla nelle grandi adunate.
Cambiamo scena.
Tre anni più tardi, nel 1935, Terragni è chiamato -insieme a Pietro Lingeri e Mario Radice- ad allestire la Sala del Canottaggio nella Mostra dello sport italiano, al Palazzo dell’Arte di Milano.
Qui, Terragni lavora su due registri diversi.
Vuole rappresentare del canottaggio le componenti a suo avviso essenziali: la velocità, la forza, la composizione delle forze congiunte, l’iterazione del gesto.
Ma vuole anche mostrare la forza espressiva e la concezione dello spazio dell’architettura razionalista.
In questo caso, però, Terragni non fa riferimento agli stilemi del secondo futurismo, che avevano influenzato l’allestimento e l’iconografia della mostra sulla Rivoluzione Fascista. Tutto suggerisce, invece, che pensasse ai pittori futuristi delle origini, a Boccioni e Balla, e in particolare alla sintesi dinamica da loro teorizzata.
Nel suo Arte Moderna 1770/1970, Argan scrive che il movimento è velocità, la velocità è una forza che interessa due entità: l’oggetto che si muove e lo spazio in cui si muove…
Forme uniche della continuità nello spazio -titolo di una famosa opera di Boccioni- significa appunto forma unitaria del corpo che si muove e dello spazio in cui si muove.
Nell’acquarello di Balla Automobile+velocità+luce, del 1913 (11.8), la figura dell’auto non c’è neppure: è rappresentata attraverso lo sdoppiamento, l’iterazione di vortici, di segni che forse alludono allo spostamento d’aria, alle tracce lasciate sulla retina dei nostri occhi dal veicolo che corre.
Lo sdoppiamento è uno degli strumenti di rappresentazione della velocità nella sintesi dinamica, ed indica una direzione, un percorso. D’altra parte, lo sdoppiamento, l’iterazione è anche una condizione necessaria alla riconoscibilità del segno, al suo diventare linguaggio.
Terragni si rifà ai principi ispiratori di Balla e Boccioni: ma non copia la pittura.
Attraverso un’esemplare operazione di trasposizione transdisciplinare, importa i principi compositivi del futurismo nel linguaggio e nella progettazione architettonica.
Analizziamo rapidamente anche la Sala del Canottaggio (11.9).
Il luogo ospite è assolutamente incluso: è l’elemento trainante di tutto l’allestimento. E’ una sala del secondo piano del Palazzo dell’Arte, con copertura a shade.
Terragni inclina linee, superfici, volumi, portandoli ortogonali o paralleli alle falde degli shade. Non solo: raddoppia -Balla direbbe che sdoppia– gli shade con pannelli di controsoffitto. Itera più volte tutti gli elementi con cui compone il nuovo spazio.
In breve, costruisce quella ‘forma unitaria del corpo che si muove nello spazio e dello spazio circostante’. Evoca il coordinamento degli sforzi, la velocità e la geometria del movimento dei vogatori.
Così facendo, l’allestimento diventa anche la chiave di lettura del luogo ospite e gli shade non sono più una semplice copertura industriale: sono, appunto, la matrice di tutto il progetto.
Così facendo, il luogo creato dall’allestimento è uno spazio che evoca l’eleganza dei vogatori e che nel contempo immerge i visitatori in uno straordinario viaggio nella nuova architettura.
Come si diceva a proposito dell’acquarello di Balla, lo sdoppiamento, l’iterazione, indica senza incertezze il movimento, la direzione, il percorso. Testi, fotografie e grafiche applicate su quelle superfici guidano alla mostra e all’esperienza di quello spazio.
Per renderci conto della meraviglia, dello stupore e anche dello sconcerto che questa architettura -benché di cartapesta- doveva procurare ai visitatori, basta affacciarsi sulle sale del Museo della Permanente, anch’esso a Milano, in quegli stessi giorni ancora allestite secondo i dettami e le consuetudini accademiche del tempo -che poi erano ancora le stesse dei salons borghesi di fine ‘800- (11.10, 11.11).
La Mostra della rivoluzione fascista a Roma e la Mostra dello sport italiano a Milano non furono eventi isolati.
Il regime fascista fin dai suoi esordi si avvalse sistematicamente a fini propagandistici di tutte le arti e tutti i media emergenti, usando magistralmente fotografia, tipografia, radio, cinema (si pensi ai cinegiornali dell’Istituto Luce), inventando le adunate di massa (curandone attentamente la regia) e, appunto, le grandi mostre.
Un’unica strategia fu messa in atto per alimentare l’orgoglio e il fanatismo nazionalista. Due gli obiettivi: guardando fuori d’Italia, ‘coprire di gloria’ una politica imperialista e, con essa, la violenza inaudita delle italiche guerre coloniali; guardando in Italia, coprire con il boato delle piazze ogni voce dissenso, ogni voce dell’opposizione, non soltanto -ovviamente- di anarchici e comunisti, ma anche dei socialisti -come Matteotti-, e dei liberali -ad esempio, come Amendola-.
Nelle nostre riflessioni sul mondo delle mostre, dopo visitatore, curatore e allestitore, appare ora con tutta la sua importanza il quarto e fondamentale attore: l’organizzatore.
Lo sguardo sul ventennio ci può aiutare a capire il ruolo dell’organizzatore anche oggi, e a riconoscere quanto di politico si cela dietro la fantasmagoria delle mostre.
Organizzatore è un termine molto riduttivo per una funzione sociale complessa. Può essere lo Stato, o un gruppo, o una persona: l’organizzatore usa l’istituzione e, nel contempo, ad essa si sovrappone.
Fornisce mezzi e luoghi, designa curatori e allestitori: ma questi atti sono già secondi, vengono dopo la scelta di fondo di cosa e perché mostrare.
Una scelta che appartiene inevitabilmente a una logica di brand, giacché una mostra, qualunque ne sia l’oggetto, si fa sempre in previsione di un ritorno economico in senso lato, nel quale, alla fine, è forse necessario ma certamente arduo porre distinzioni tra politica e cultura, tra esercizio del potere e fabbrica del consenso (oggi si potrebbe anche dire: fidelizzazione), tra denaro e immagine.
Giocando con le parole, se l’organizzatore è il mandante, curatore e allestitore sono i sicari. Sono i depositari -o le cinghie di trasmissione- di un potere e di un credito che appartiene all’istituzione.
Guardando in trasparenza, l’azione di curatore e allestitore non è diretta agli oggetti: è diretta, più o meno consapevolmente, a catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni [5] del visitatore, progettando le relazioni tra il soggetto visitatore e gli oggetti esposti, e, alla fine, tra il visitatore e l’organizzatore.
Di converso, il visitatore, adottando il comportamento progettato per lui, assume un ruolo, un’identità, diventa il vero bersaglio -oggetto e protagonista- della mostra, l’attore che con i suoi movimenti e i suoi gesti interpreta, svela e ri-vela, e ripete, ripercorrendolo, il progetto di curatore e allestitore.
Nel cuore di questa sua molto condizionata libertà si annida però il potere di riconoscere o disconoscere -comunque smascherare- non solo l’operato di curatore e allestitore, ma anche il credito del dispositivo, l’autorità dell’istituzione. Riconoscere o disconoscere mezzi e finalità di chi la mostra l’ha voluta e prodotta.
La libertà condizionata lasciata al visitatore non alleggerisce il carico di curatore e allestitore, anzi, lo aggrava.
Anche la lezione della storia ci deve far riflettere, dunque, se mai ce ne fosse bisogno, sulle responsabilità etiche e politiche implicite nel lavoro di chi opera in questo settore.
Torniamo al ventennio fascista. Mentre nell’architettura istituzionale del regime dominava lo stile ‘imperial-regio-monumentale’ di Marcello Piacentini, nelle mostre fu dato spazio alle nuove tendenze: una schiera di giovani architetti, guidati da Giuseppe Pagano, approfittò degli allestimenti per sperimentare, ma anche per cercare di accreditare nelle stanze del Potere l’architettura razionalista[6].
Nella Mostra dell’Aeronautica, nel 1934, ancora al Palazzo dell’Arte, si videro allestimenti entrati poi nella storia. In quasi tutte le sale di questo grande evento, l’iconografia e l’informazione erano affidate a fotografia, fotomontaggio e grafica. L’oggetto delle nostre attenzioni, il rapporto tra luogo ospite e luogo della mostra, è qui immediatamente riconoscibile: salvo che nella sala di Figini e Pollini, in tutte le altre l’ospite è soltanto un contenitore -e gli shade, ove presenti, sono soltanto una copertura-.
Nelle sale delle Medaglie d’Oro di Nizzoli e Persico (11.12) e dell’Aerodinamica di Albini (11.13) il luogo ospite si limita a dettare le dimensioni di uno spazio astratto, cartesianamente modulato da uno scheletro di montanti e di griglie -in legno o in metallo-, che supporta ed ordina la grafica di fotografie e di testi.
Nella sala dei Precursori, Figini e Pollini invece trasformano il luogo ospite: creano l’illusione di un angolo di cielo nel quale il linguaggio essenziale della loro architettura evoca l’aria rarefatta, il volo ad alta quota (11.14).
In molte sale, come in quella curata da Romano e Clausetti, il luogo ospite è usato come un hangar, riempito dall’impressionante presenza di aerei veri (11.15).
Baldessari -autore di importanti allestimenti anche negli anni ’50-, all’interno della sala di Aviazione e Fascismo, edifica tre archi trionfali. Non mostra aerei o cimeli o ‘documenti’: mostra soltanto l’allestimento. E’ l’emozione, è l‘idea vagamente gotica di un vuoto rappresentato dall’horror vacui della grafica, un vuoto inclinato -come l’orizzonte visto da un aereo in virata- dall’iterazione ossessiva delle stesse pagine di testo (11.16).
Una nota: in questa mostra, stranamente, l’unico assente è proprio Terragni.
Oltre a quelle cui abbiamo accennato, dal 1932 in poi il regime realizzerà molte altre grandi mostre, come la Mostra Nazionale delle Bonifiche, la Mostra Augustea della Romanità, la Mostra del Tessile Italiano, la Mostra Autarchica del Minerale Italiano, etc. fino all’Esposizione Universale (E 42) i cui lavori, nel nuovo quartiere di Roma, erano cominciati già nel 1930, ma non saranno mai finiti causa la guerra…
E, a proposito di travestimenti del luogo ospite, chiudiamo con una curiosità.
Non in tutti gli eventi, evidentemente, si diede spazio ai razionalisti. In alcuni casi, come per la la Mostra Augustea della Romanità (11.17) il luogo della mostra inventato dall’allestimento doveva riproporre gli antichi fasti imperiali.
Il processo di identificazione tra Augusto e Mussolini e il richiamo all’antico toccò l’apice con la grande Mostra Augustea della Romanità del 1937. Diretta da Giulio Quirino Giglioli, fu inaugurata al Palazzo delle Esposizioni per celebrare il bimillenario della nascita di Augusto.
La facciata del Palazzo, realizzata da Alfredo Scalpelli, presentava delle “scritte lungo tutta la facciata, che ammonivano i visitatori e i passanti sulla potenza indistruttibile di Roma, sulle doti della gente italica e sulla universalità della politica romana, con le parole di grandi scrittori classici e cristiani”. Era decorata con copie di statue romane di barbari prigionieri [in cima ai quattro grandi pilastri, n.d.r.], i cui originali (II sec. d.C.) si ritrovavano nelle collezioni del Palazzo dei Conservatori. […]
(incipit di Dietro il fascismo – La Mostra Augustea della Romanità, dal sito www.archeome.it)
Un’osservazione.
Sappiamo che non è questa la sede per un’indagine approfondita su tutte esposizioni del ventennio. Programmaticamente queste clip non hanno alcuna intenzione o pretesa storiografica. Ci interessano alcuni temi, come in questo caso, i rapporti tra luogo ospite e luogo della mostra.
Ma al di là dei nostri interessi molto particolari, resta comunque affascinante l’accordo indissolubile che lega i grandi eventi e i loro allestimenti all’immagine che ogni tempo -e ogni cultura- vuole proporre di sé. Ma questa è, appunto, materia di storici.
[1] G.Ciucci, L’autorappresentazione del fascismo – la mostra del decennale della marcia su Roma, in Rassegna n°10, 1982, pag. 48.
[2 Il 28 ottobre 1922 alcune decine di migliaia di fascisti armati marciarono su Roma, minacciando la guerra civile se il re non avesse prontamente conferito a Mussolini pieni poteri. Il 30 ottobre il re Vittorio Emanuelle III cedette.
[3] Per una ricostruzione virtuale della sala e un’analisi iconografica, vedi la tesi di laurea di Francesca Aita: https://www.youtube.com/watch?v=13K9BDGK324
[4] cfr. nota 1
[5] Parafrasando G. Agamben, in Che cos’è un dispositivo?, nottetempo, Roma 2006, pag. 21.
[6] A proposito del rapporto tra giovani architetti razionalisti e allestimento di mostre, da non perdere la lettera di Giuseppe Pagano scritta dal fronte in occasione della mostra sull’Aeronautica del 1941 e l’articolo di Sergio Polano recentemente pubblicati in Casabella n°919, marzo 2021, pagg. 74-93
11.1 P. Piacentini, 1887, Palazzo delle Esposizioni in una foto d’epoca – facciata nuda
https://www.romasparita.eu/foto-roma-sparita/54029/palazzo-delle-esposizioni-4
11.2 Mostra della Rivoluzione Fascista, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1932 – facciata di A. Libera e M. De Renzi
https://www.youtube.com/watch?v=l5DbIuTNXk0
https://it.wikipedia.org/wiki/File:Mostra_Fascista.jpg
https://www.hofstra.edu/pdf/library/libspc_weingrow_std_marzigliano.pdf
vedi anche il video dell’Istituto Luce:
https://www.youtube.com/watch?v=l5DbIuTNXk0
11.3 (1.6) pianta generale
11.4 M. Sironi, la sala “P” – l’adunata di Napoli
https://www.facebook.com/Contrafforte/photos/?tab=album&album_id=1063135233814237
https://picclick.it/C1106-Futurismo-Roma-1932-Mostra-Della-Rivoluzione-Fascista-293596237973.html#&gid=1&pid=1
http://www.thule-italia.net/CB4B585CFD.jpg
11.5 M. Sironi, la sala “S” – la galleria dei fasci (in una cartolina)
https://www.facebook.com/Contrafforte/photos/?tab=album&album_id=1063135233814237
https://picclick.it/C1106-Futurismo-Roma-1932-Mostra-Della-Rivoluzione-Fascista-293596237973.html#&gid=1&pid=1
http://www.thule-italia.net/CB4B585CFD.jpg
11.6 A. Libera e A. Valente, la sala “U” – sacrario dei martiri
http://jeffreyschnapp.com/wp-content/uploads/2011/07/Mostre.pdf
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1063135233814237.1073741856.1063130037148090&type=3
11.7 G. Terragni, la sala “O”
https://www.casadellarchitettura.it/mostre/convegno-gratuito-giuseppe-terragni-a-roma-la-sala-o-e-la-mostra-permanente-della-rivoluzione-fascista-nei-palazzi-del-littorio/
https://www.archivioterragni.it/projects-roma/sala-o/
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11.8 G. Balla, Automobile+velocità+luce, 1913
https://mcarte.altervista.org/quel-che-resta-del-futurismo-al-palazzo-blu-di-pisa/
https://blog.ilgiornale.it/franza/files/2019/10/futurismo-pisa-01-e1571263091936.jpg
http://www.culturaitalia.it/opencms/viewItem.jsp?language=it&id=oai%3Aculturaitalia.it%3Amuseiditalia-work_83508
11.9 Mostra Nazionale dello sport italiano, Palazzo dell’Arte di Milano, 1935 – G. Terragni, P. Lingeri, M. Radice, la Sala del Canottaggio.
http://www.archimagazine.com/apittura.htm
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11.10 Museo della Permanente, Milano – una delle sale in una fotografia degli anni ’20-‘30
foto dagli archivi della Permanente
11.11
foto dagli archivi della Permanente
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11.12 Mostra dell’Aeronautica, Palazzo dell’Arte, Milano 1934 – E. Persico e M. Nizzoli, sala delle Medaglie d’Oro
http://archivio.triennale.org/archivio-fotografico/esposizione/21846-aer
11.13 F. Albini, sala dell’Aeronautica
http://archivio.triennale.org/archivio-fotografico/esposizione/21846-aer
https://www.semanticscholar.org/paper/Dis%2FSolution%3A-Lina-Bo-Bardi’s-Museu-de-Arte-de-São-Caffey-Campagnol/48059ecd0ac01608587724b9f05753a4937e2d9d/figure/2
11.14 L. Figini e G. Pollini, sala dei Precursori
https://www.panorama.it/leonardo-39-la-costruzione-di-un-mito-milano?rebelltitem=4#rebelltitem4
(Ufficio Stampa Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, fotografia Crimella Milano)
http://archivio.triennale.org/archivio-fotografico/esposizione/21846-aer
11.15 G. Romano e P. Clausetti, sala del volo di Massa
http://archivio.triennale.org/archivio-fotografico/esposizione/21846-aer
11.16 L. Baldessari, sala dell’Aviazione e Fascismo
http://archivio.triennale.org/archivio-fotografico/esposizione/21846-aer
http://baldessari.densitydesign.org/opere/project/AA
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11.17 – Mostra Augustea della Romanità, Palazzo delle Esposizioni, facciata di A. Scalpelli, 1937
https://www.archeome.it/dietro-al-fascismo-la-mostra-augustea-della-romanita/